cronaca

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 "When the bridge fell", Quando il ponte cadde: apre così la prima pagina del New York Times di oggi, che dedica un lunghissimo servizio, spalmato su seconda e terza pagina, dedicato alla tragedia di Genova. Segno di come questa tragedia sia entrata nelle case e nei cuori di tutto il mondo. 

Con una bellissima foto del moncone del cavalcavia Morandi, visto da una finestra aperta, il servizio racconta la storia del ponte, meraviglia di ingegneria minimale quando fu inaugurato nel 1967, i difetti che tardarono a venire alla luce, le possibili negligenze, le testimonianze di chi ha assistito alla tragedia e l'opinione di esperti: "Una ricostruzione del crollo del viadotto genovese, dall'inizio al rapido epilogo".

L'articolo si apre con la drammatica testimonianza di Davide Capello, il vigile del fuoco calciatore miracolosamente sopravvissuto perché la sua auto, precipitata dal ponte, è rimasta incastrata poco sotto. "Improvvisamente vede il vuoto 20-30 metri davanti a lui. Frena, ma il vuoto gli viene incontro mentre la strada sparisce, sezione dopo sezione". 

"Quando fu costruito negli anni '60 - scrive il giornale -, il viadotto di Genova era più che un semplice ponte. Era un viaggio lungo 1.200 metri attraverso la maestria e l'innovazione, che erano valse al suo progettista Morandi fama nei circoli di architettura e ingegneria nel mondo. La sua sagoma era così leggera e aerea, che sembrava uscita direttamente dai fogli di carta millimetrata", scrive il Nyt. "La sua bellezza era nella sua semplicità. Ma i tecnici si resero conto gradualmente che la struttura aveva così pochi sostegni-chiave che se anche uno solo di essi avesse ceduto, un'intera sezione sarebbe crollata", scrive il giornale, citando un'esperta in Storia dell'Architettura dell'Università la Sapienza di Roma, Marzia Marandola.