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Cultura e spettacolo

Un film lontano dalla tradizione gotica e sanguinaria che solitamente accompagna questa vicenda
3 minuti e 9 secondi di lettura
di Dario Vassallo
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Nel corso della sua carriera il regista francese Luc Besson non si è mai tirato indietro di fronte alla reinterpretazione degli archetipi. Dall'assassino solitario di Léon all'eroina futuristica de Il quinto elemento, il suo cinema ha oscillato tra il lirico e l'eccessivo, il romantico e il violento. In Dracula– L’amore perduto decide di confrontarsi con uno dei miti più rivisitati del grande schermo, un personaggio riciclato in innumerevoli modi senza dimenticare versioni anche decisamente umoristiche. Ma qui, ben lontano dall'aderire alla tradizione gotica e sanguinaria che solitamente accompagna questa vicenda, sposta il focus narrativo su un territorio insolito: quello del melodramma romantico venato di tragedia che decide di ambientare nella Parigi della Belle Époque che si prepara alle celebrazioni del centenario della Rivoluzione francese.

La trama 

Il film inizia con un prologo ambientato nel XV secolo dove vediamo il principe Vlad (interpretato da Caleb Landry Jones che Besson aveva già diretto in Dogman), combattere una guerra contro i musulmani in nome di Dio. In questo conflitto sua moglie, l’amatissima principessa Elisabeta, viene uccisa, evento che lui interpreta come la conferma definitiva che Dio non è dalla sua parte. Così lo rinnega per il dolore e la rabbia, venendo condannato a una maledizione eterna che lo trasforma in vampiro. Costretto a vivere immortalmente nel buio, cerca disperatamente di ritrovare il suo amore perduto, che crede possa reincarnarsi in un'altra donna nel corso dei secoli. Quattrocento anni dopo, ci ritroviamo a Parigi dove scopre Mina, che somiglia molto alla sua amata Elisabeta, e la segue guidato dall'illusione di riavere accanto l'amore della vita. Ma le sue azioni porteranno a conseguenze terribili e inevitabilmente tragiche.

Il protagonista del film Caleb Landry Jones

Un uomo spezzato dalla perdita 

Se Coppola nel 1992 aveva permeato Dracula di una sensualità barocca e di un erotismo gotico, Besson gli conferisce invece un romanticismo traboccante, al limite dell'ossessiva testardaggine. Il suo Dracula non è il cattivo assoluto, ma un uomo spezzato dalla perdita, condannato a vagare per secoli alla ricerca della reincarnazione della donna della sua vita, un gesto che umanizza la mostruosità e pone una domanda stimolante: cosa rimane della saga del vampiro quando la sua perversione viene spogliata e rivestita dell'immagine di un amante? E lo spostamento dell'azione nella Parigi della Belle Époque rafforza questa interpretazione: un anacronismo deliberato nel quale la capitale francese, simbolo di raffinatezza e modernità, diventa il palcoscenico in cui il Mito si scontra con la Storia. 

Amore eterno che sfida i secoli 

La vicenda narrata da Bram Stoker diventa insomma un racconto di amore eterno che sfida i secoli, i confini e persino la divinità stessa avvolto in una follia romantica che attraversa il tempo. Besson non si sottrae ai momenti fantastici offerti dal testo originale, ma adatta personaggi, modifica situazioni e lo stesso destino di Dracula in una maniera che alcuni potranno vedere come un tradimento, altri come un gesto necessario per mantenere viva una storia secolare. D’altronde, a tratti selvaggio e perennemente cupo, il film ci catapulta nel passato con una sceneggiatura ambiziosa che mostra un maggiore interesse per i coinvolgimenti emotivi dei personaggi rispetto alla rigida fedeltà narrativa o agli stereotipi gotici.

Non solo un vampiro 

Con passi audaci, Besson – la cui filmografia è stata spesso disomogenea – si rivela sorprendentemente a suo agio in questo registro fantastico-mistico. Qui Dracula si abbandona all'amore con tale fervore che la ricerca stessa diventa la sua vera dannazione. Un film che non parla solo di un vampiro che aspetta quattrocento anni per ricongiungersi con l'amore della sua vita ma riguarda anche l'atto stesso del raccontare una storia così spesso ripetuta: il cinema, come Dracula, torna più e più volte dalla sua tomba culturale, reinventato, trasformato ma sempre vivo. E in quel gesto, Besson sembra ricordarci che l'unica cosa eterna, al di là del sangue, della fede o della morte, è l'amore per l'arte.

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