Vinicio Capossela è una delle figure più originali e complesse della scena culturale italiana, artista che ha saputo coniugare musica, letteratura e teatro in un percorso artistico unico, profondamente radicato nella tradizione ma sempre proiettato verso l'innovazione. Personalità eclettica e visionaria, capace di muoversi tra i generi più diversi, dal folk mediterraneo al cabaret tedesco, e di fondere la musica con una forte dose di letteratura, è stato protagonista a Palazzo Ducale di un'incontro dal titolo Un resoconto di viaggio nelle storie di marinai, profeti e balene - nell'ambito delle inziative correlate con la mostra 'Moby Dick' ospitata nell'Appartamento del Doge fino al 15 febbraio - che ha ripercorso in un certo senso una serata analoga che lo vide protagonista nel 2008, segno dell'attrazione che ha sempre avuto nei confronti del mare e dei cetacei.
Che cosa ha provato quando ha letto Moby Dick per la prima volta? “La cosa che mi ha sconvolto è che da piccolo credevo fosse un mito che appartenesse alla storia dell'uomo, invece andando a leggere la storia del suo autore, Herman Melville, ho scoperto che quello che vedevo come il libro del Dante degli Stati Uniti in realtà è stato per molto tempo fuori produzione, messo da parte e ristampato soltanto dall'inizio del Novecento. Quindi come mito collettivo è recente, non ha più di cent'anni. Cosa ho provato? Moby Dick è proprio come la balena, dentro ci sono tanti libri, quello che mi ha interessato di più era il capitolo che si chiama 'I fuochi fatui' dove c'erano queste apparizioni che facevano sembrare gli alberi della nave come candele che bruciavano. Mi ha colpito il senso del sacro e il fatto che tutto è già come deciso, gli uomini sono lì a dibattersi contro un destino annunciato. E' un libro pieno di presagi ma non servono a nulla, si va verso una catastrofe annunciata. Trovo sia una storia molto simbolica perché alla fine il nostro pianeta è come il Pequod, la nave su cui si svolge tutto, e al comando c'è qualcuno che agisce non nell'interesse della nave”.
Le balene per lei sono più un'ossessione o una fascinazione? “Una fascinazione che ha molte declinazioni, nel senso che come creatura, essendo il più grande mammifero del pianeta, in realtà la balena è qualcosa di pacificante, non terrorizzante. E' fuori misura e personalmente ho sempre fatto il tifo per gli esseri fuori misura, per i Golia, i Polifemo..."
Che spazio c'è, secondo lei, nella realtà contemporanea per il mito e la leggenda delle balene? “Nessuno, come non c'è più spazio per il mito in generale, nel senso che è diventato intrattenimento. In fondo il mito cos'è? È la necessità che abbiamo di andare un pochino oltre a questo tempo che ci divora continuamente, una parola grande che rivela il bisogno insito nell'uomo di superare la contingenza e salvare qualcosa in una dimensione diversa che è quella della memoria”
Siamo a Genova, che è considerata la patria del cantautorato. Come è cambiata la canzone d'autore dai tempi di De André e Tenco? “La canzone d'autore è come i cetacei, una specie in via d'estinzione. Che però viene ancora cacciata”.