Nel 2009 Stefania Albertani, una donna di 28 anni originaria di Como, confessò di aver ucciso la sorella maggiore, averne bruciato il corpo e poi tentato di ammazzare anche i genitori. L'interesse che allora suscitò questo crimine venne amplificato dall'affermazione di non ricordare nulla delle sue azioni e dal fatto che la condanna a 30 anni venne successivamente ridotta in seguito a test neuroscientifici che misero in luce la presenza di anomalie cerebrali che la rendevano incline a comportamenti violenti. Su questa vicenda due criminologi scrissero un saggio da cui Leonardo Di Costanzo ha tratto ispirazione per Elisa, interpretato da Barbara Ronchi e presentato in concorso alla Mostra di Venezia.
La trama
Nel film la protagonista sta scontando una condanna a vent'anni di carcere per l'omicidio della sorella, non ha mai professato la propria innocenza affermando di soffrire di amnesia parziale: non riesce a ricordare né l'evento con chiarezza né le motivazioni che l’hanno spinta a compierlo. Ha già scontato metà della pena ed è sulla strada per ottenere la libertà vigilata, scelta che però fa fatica ad accettare. Nel carcere in cui si trova, una prigione modello che sembra un hotel di lusso sulle Alpi svizzere dove i detenuti vivono in piccole casette di legno sparse nel bosco e possono muoversi liberamente all'interno dei confini della struttura, incontra un criminologo che la contatta per una serie di interviste che vorrebbe condurre con lo scopo di acquisire una maggiore comprensione delle motivazioni di un certo tipo di criminalità. Per Elisa rappresenterebbe anche l'opportunità di sbloccare parti della memoria che potrebbero fornire maggiori informazioni sul suo movente. Man mano che le sedute vanno avanti, la donna sprofonda sempre più nel ricordo di ciò che ha portato a quell'evento fatale facendo i conti con le decisioni che allora prese.
Un atipico true crime
Occupandosi meno dei fattori esterni – potenzialmente più dinamici – che hanno trasformato una normale venticinquenne in un'assassina e più dei cambiamenti graduali nella sua psicologia dopo 10 anni di carcere, Elisa è un'interpretazione insolita del genere true crime che raramente trova la complessità che si potrebbe dare a un materiale di questo tipo. C'erano le basi per diventare il ritratto di un'anima tormentata in cerca di una propria forma di redenzione ma se pure il personaggio vive in uno spazio liminale in cui riconosce la colpevolezza delle proprie azioni manca il potenziale per una comprensione più completa delle motivazioni. Eppure Elisa è un personaggio complesso, capace di amare un padre che ancora le fa visita due volte alla settimana e alle prese con sensi di colpa per i quali non ha sfogo, ma anche manipolatrice quando necessario e persona cui viene facile mentire.
Allo spettatore la scelta di giudicare la protagonista
Semplificato eccessivamente per quanto riguarda la psicologia sia della donna che del criminologo, il film non può sfuggire ai confini dei suoi stessi processi mentali. Contrariamente all'idea, prevalente nelle narrazioni di crimini reali, che uccidere possa in qualche modo ampliare il proprio senso di sé perché si è fatto qualcosa che la maggior parte delle persone non tollererebbe mai, Elisa ci ricorda che, incarcerato, in libertà vigilata o addirittura ancora in libertà, il mondo di un assassino è comunque molto piccolo. Dal canto suo Di Costanzo segue questa donna fredda e manipolatrice ma profondamente tormentata con uno stile di osservazione di tipo documentaristico mentre spetta a noi spettatori scegliere se giudicare impietosamente un "mostro" capace di compiere un atto così estremo o privilegiare un approccio che valorizzi l'ascolto empatico restituendo un senso di umanità all'autore di questo crimine.
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