Siamo entrati ieri nel tempo di Avvento, tempo di preparazione al Natale. Momento in cui ci si raccoglie un po’ di più in preghiera, periodo di riflessione, di comunione di pensieri, momenti di famiglia, di affetti. Periodo questo in cui si allestiscono i due segni sacri per eccellenza del Natale, segni che affondano le loro radici nella nostra cultura e nella nostra stessa identità: il Presepe e l’albero di Natale.
Il Presepe, voluto e ideato da San Francesco, che desiderava contemplare non solo con gli occhi dell’anima, ma anche con quelli del corpo, la povertà in cui Cristo è nato.
L’albero di Natale, sempre voluto dai Papi in piazza San Pietro, nato come usanza in epoca medioevale in oriente. Si festeggiava il 24 dicembre la festa dei Santi Adamo ed Eva, e si allestiva un albero con le mele (le nostre palline) per ricordare il peccato originale, la “felice colpa che meritò un così grande Redentore”. Il giorno seguente si accendevano delle candeline sull’albero (le nostre luci), segno di Cristo Luce che viene nel mondo, a illuminare la nostra storia di peccato, bisognosa di perdono e di incontro con Dio.
Natale è questo.
Natale non è la festa dei popoli, la festa della pace o della famiglia. Natale è la festa in cui i popoli e le famiglie riscoprono la pace perchè Cristo è nato. Perchè Dio si è fatto vicino all’uomo.
Natale è l’Incarnazione e la Natività del Figlio di Dio.
Ce lo raccontano così i nostri poeti: tra gli altri, Ungaretti, Quasimodo, Manzoni con la sua altissima ode “Il Natale”. O se vogliamo venire anche a tempi recentissimi, Eduardo De Filippo.
Ce lo indicano Giotto, Botticelli, il Ghirlandaio, Caravaggio, in opere d’arte che rappresentano il mistero del contatto tra cielo e terra nel Bambino che nasce.
Lo fanno risuonare nel nostro spirito musicisti come J. S. Bach con l’Oratorio di Natale, Charpentier, Perosi, Scarlatti, Corelli.
Soprattutto lo descrive in un modo sublime Mozart, nell’ “Et incarnatus” (nel “Credo” della Messa in do minore). Un brano questo, voluto da Papa Francesco a San Pietro nel Natale 2014 e che lui stesso ascoltò in ginocchio. Un brano in cui Mozart descrive plasticamente la distanza tra terra e cielo, facendo eseguire al soprano vocalizzi arditi, salti di due ottave, dagli abissi del do centrale al si bemolle in cielo. Distanze siderali, come quelle tra cielo e terra, percorse dal Figlio di Dio che si incarna, appunto.
Quanti presepi, viventi e non viventi, fanno parte della nostra tradizione culturale popolare, di svariatissimo genere; dove il mistero che viene rappresentato da tutti, credenti e non credenti, è la grotta o la stalla di Betlemme, capace di unire cuori e menti, capace di mettere insieme gli opposti in un momento di comunione di intenti.
Natale è la Natività del Figlio di Dio.
Questo è il Natale.
Non solo segni sacri. Segni culturali, identitari, che fanno parte di noi.
Poi capita di venire a sapere che nella nostra città di Genova è stato deciso di togliere il Presepe, questo segno sacro e culturale (o se si preferisce, culturale e sacro) da Palazzo Tursi, sede del Comune, luogo “sacro” della nostra città, luogo nel quale tutti ci ritroviamo. “Sacro” perchè identitario della nostra cittadinanza e della Storia genovese; perchè le Istituzioni vanno scritte sempre con la “I” maiuscola, e come tali vanno sempre rispettate ed onorate.
Ebbene proprio lì è stato scelto di non mettere più il Presepe, la Natività del Figlio di Dio, sostituendola con il “villaggio di Babbo Natale”.
Subito pensavo di non aver capito bene; sono rimasto per un momento interdetto. Troppo strano e ridicolo per sembrare vero. Qui invece sarebbe tutto vero.
Mentre pensavo a tutto questo, ho sentito qualcuno ridere; erano Mozart, Bach, Giotto, Caravaggio che ricoprivano di ridicolo, loro sì, questa decisione che va contro il loro genio culturale.
Ebbene, spero che questa decisione venga rivista, e che chi di dovere ritorni sui suoi passi, cambiando decisione, lasciando al suo posto il Presepe, e non un Babbo Natale qualsiasi.
Spero che ci insegniate, rivedendo questa vostra scelta, ad ascoltare e a rispettare i valori e le voci che vengono da lontano. Voci di Tradizioni che hanno il loro fondamento e le loro radici non in favole per bambini, ma in una Storia culturale comune a tutti noi e, per chi crede, in Qualcuno che porta la speranza ad ogni uomo.
Non è meglio lasciare il Presepe al suo posto? Visibile, a ricordarci anche la sconfitta di tutti noi quando qualcuno non ha un posto dove stare, e muore di freddo o di solitudine nelle nostre strade, senza dignità.
Forse anche per questo è meglio mettere di mezzo un bel Babbo Natale pacioccone e spensierato? Forse anche per questo il Bambino Gesù è meglio nasconderlo dalla nostra vista, ancor prima che nasca, perchè è troppo scomodo?
Don Valentino Porcile, Parroco di San Siro di Nervi