Vai all'articolo sul sito completo

Commenti

4 minuti e 51 secondi di lettura
di Franco Manzitti

Decenni a seguire questa battaglia di Cornigliano, sapendo in fondo al cuore che poteva finire male. Gli anni dell’ Italsider con dodicimila operai in fabbrica e gli impiegati in via Corsica, con in testa la storia di quella acciaieria a ciclo continuo, perfezionato negli anni Cinquanta e fondata negli anni Trenta, riempendo il mare del Ponente, rosicchiando la montagna, decine di morti in quell’opera immane.

Sono passati decenni nei quali quell’industria dalle radici così profonde, affondate nel mare, nella storia imprenditoriale, prima di grandi famiglie come i Perrone dell’Ansaldo poi in una giostra incredibile di proprietà, ha marchiato questa città.

Era la fabbrica del boom italiano perché dal suo altoforno usciva l’acciaio che ha modernizzato questo paese, le lamiere delle carrozzeria delle macchine, quelle degli elettrodomestici e tutto il resto. Era più di una fabbrica, più di un’azienda, sotto uomini come Oscar Sinigaglia, che ne stampavano l’impronta culturale. Ha visto passare decine di grandi manager, una sfilata e di grandi leader sindacali, che “regnavano” su decine di migliaia di uomini, tute blù e colletti bianchi.

Non capivamo come sarebbe finita. Io e Mario Paternostro ci inventammo su “Il Secolo XIX” una grande inchiesta intitolata: “ Il futuro di Genova in tuta blu o in colletto bianco?” Per rispondere alla domanda se l’industria, con l’ Italsider in testa e tutto il resto, avrebbe avuto un futuro prevalente.

Domanda legittima, dopo la grande crisi degli anni Ottanta che “falciò” le aziende Iri e ancora grazie che la legge siderurgica, studiata da uomini come Bruno Orsini, genovese, democristiano, salvò migliaia di operai e impiegati dalla disoccupazione.

E arrivò la grande battaglia per i fumi, quando la coscienza ambientale divenne impellente e esplose il grande scontro ambiente contro lavoro.

Le donne in corteo dal Mercato del pesce di Cornigliano, mobilitate da due eroine come Leila Maiocco e Patrizia Avagnina e, dall’altra parte, gli operai, il sindacato, quello duro e l’altro dialogante, con uomini indimenticabili come Franco Sartori.

I palazzi anneriti dal fumo dell’ altoforno, il “mostro” che soffiava veleno e e morte fino al 2005, quando si raggiunse il grande accordo tra il padrone Riva e gli enti locali, dove rispuntava Claudio Burlando, che siglando la bozza di quella intesa aveva costruito la sua vittoria per diventare presidente della Regione contro Sandro Biasotti, che aveva proposto nel suo mandato una altra visione per l’acciaio e per Cornigliano.

Non sapevamo come sarebbe finita, poi abbiamo visto spegnere l’altoforno, le cokerie e restare la lavorazione a freddo. Abbiamo visto il numero degli operai diminuire, la proprietà cambiare, la famiglia Riva spazzata via dallo scandalo a Taranto, poi Acelor Mittal, gli indiani, fino a questo tempo moderno con la cassa integrazione che saliva, saliva….. Fino all’asta senza speranze di questa estate mentre era comparso il forno elettrico un po’ spettro, un po’ garanzia di futuro. Non sapevamo come sarebbe finita, ma anche noi modesti osservatori di lungo corso abbiamo incominciato ad avere paura.

Quanti sindaci abbiamo visto passare in questa storia? Fulvio Cerofolini in piedi su un tavolo in mezzo alla pista dell’aeroporto a spiegare la situazione agli operai, Beppe Pericu e i suoi viaggi a Roma e ora, alla fine, questa giovane sindaca appena arrivata, Silvia Salis, in una notte di freddo sotto i tendoni dell’ultimo blocco a raccontare perché il forno elettrico sarebbe andato bene e a invocare ( e ottenere) insieme a Marco Bucci, l’ex sindaco oggi presidente della Regione, il tavolo romano per trovare una soluzione.

L’acciaio, la sua storia, la sua vicenda in questa città di mare e di fabbriche, che ora sembra un’altra cosa, hanno segnato Genova per sempre.

Anche se hanno annerito quei muri di fumo, impestato quella Cornigliano che una volta aveva i castelli ed è stata soffocata dal fuoco, dalla puzza, dal rumore cupo, anche se hanno fatto pagare un prezzo immane a quel pezzo di Ponente.

Le storie famigliari, quelle economiche, l’impronta fisica di quello stabilimento enorme, tra il Polcevera, l’aeroporto , la cultura di fare acciaio, segnano per sempre.

E se si perdono smarriamo uno dei sensi di questa città, il suo equilibrio , costruito certo su valori ideologici che in quella storia hanno scatenato battaglie, messo in campo schieramenti, contrapposizioni, mobilitazioni indelebili.

Tutto è passato di lì, anche lo spettro assassino degli anni di piombo. La stella a cinque punte delle Br che spuntava dai fax in fabbrica e chissà chi la diffondeva , Francesco Berardi, il postino delle Br, che cercava proseliti e Guido Rossa l’operaio eroe, che lo denunciava. Pagando con la vita.

Chi dimentica quella grande piazza De Ferrari sotto la pioggia che salutava Rossa e in qualche modo incominciava a liberare il Paese dal terrorismo? Era anche la piazza di quella fabbrica, che riassumeva tutto, compresa la capacità di reagire.

Per questo se perdiamo l’acciaio perdiamo un pezzo della nostra anima, non solo la memoria. Non tutte le generazioni possono capire questa radice profonda, la storia infinita di uno sviluppo industriale, che non riguardava solo la produzione dell’acciaio, ma anche le vicende di tante battaglie sindacali di difesa dei diritti, la maturazione della coscienza dell’ambiente contro i veleni. Non solo quello che usciva dall’altoforno.

Genova è cresciuta anche con quello, con tutto quello. Lo spazio anche troppo largo di una fabbrica, con i suoi moli, le sue banchine, che i lavoratori e gli imprenditori avevano dedicato alla produzione e al trasporto, con l’accordo dell’Autonomia Funzionale, firmata da giganti come il sindacalista Giuseppe Di Vittorio e l’imprenditore Angelo Costa, quello spazio può cambiare il suo destino nella trasformazione inevitabile della città. Ma l’acciaio ci deve restare perché è come il sale, l’origine di una sua identità. Non solo perché il Dio Mercato lo chiede e lo giustifica e tutte queste battaglie e storie lo rivendicano ancora.

Iscriviti ai canali di Primocanale su WhatsAppFacebook e Telegram. Resta aggiornato sulle notizie da Genova e dalla Liguria anche sul profilo Instagram e sulla pagina Facebook