Un approccio multidisciplinare, tra archeologia, antropologia fisica e genetica, è il cuore di nuovi progetti dell’Università di Genova, in collaborazione con l’Università di Firenze, e dedicati allo studio delle popolazioni tardoantiche e altomedievali nelle città portuali attraverso l’analisi delle aree cimiteriali e dei genomi antichi. A questo scopo le due università hanno presentato progetti per finanziamenti nazionali e internazionali attualmente in corso di valutazione.
Perché le aree cimiteriali sono utili a comprendere la mobilità umana? Perché il record funerario è uno più completi a cui si può attingere per lo studio delle società antiche. La necropoli, nella sua interezza, riflette l’organizzazione sociale; la singola sepoltura rispecchia la volontà di autorappresentazione della famiglia del defunto e conserva lo scheletro, archivio di informazioni biologiche e genomiche. Ossa e denti, interrogati secondo le metodologie dell’antropologia fisica e della paleopatologia, rivelano sesso, età, dieta, patologie e abitudini di vita. Il Dna Antico permette di comprendere non solo i legami parentali (Kinship) ma anche la provenienza dei defunti (Ancestry). Questo tipo di fonte diventa, quindi, particolarmente interessante se interrogata per comprendere il momento storico compreso tra la fine IV e il IX secolo, noto come periodo delle grandi migrazioni.
L’Università di Firenze ha già eseguito studi simili collaborando con team di ricerca internazionali e focalizzati sulle popolazioni provenienti dall’est Europa. In questo modo, attraverso l’incrocio dello studio archeologico classico, incentrato sullo studio delle sepolture, e lo studio genomico è stato possibile ricostruire non solo l’organizzazione sociale di Goti e Longobardi – a Collegno, in provincia di Torino, individui appartenenti ad élite gote imparentate tra loro erano seppelliti in nuclei attorno ai quali si disponevano gli altri individui – ma anche di come, con il passare del tempo, queste popolazioni si siano integrate con la popolazione autoctona sia dal punto di vista culturale che genomico, per cui all’interno di necropoli che saremmo portati ad interpretare come “culturalmente longobarde” sono seppelliti individui con patrimonio genetico misto.
Ancora più interessante diventa, quindi, applicare lo stesso tipo di studio in contesti in cui, fin dall’età romana, si incontrano genti provenienti da tutto il Mediterraneo, ossia le città portuali che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. A tal proposito, è attualmente, in corso la sperimentazione del protocollo di ricerca congiunto su un sito campione genovese: Mattoni Rossi (Piazza Cavour). Le fasi di studio hanno previsto, da un lato, il recupero dei dati degli scavi archeologici e, dall’altro, lo studio antropologico fisico e bioarcheologico degli individui sepolti. Si tratta di un sito particolare, collocato in prossimità dello scalo portuale antico, dove l’utilizzo cimiteriale – con sepolture tutte riferibili ad infanti che riportano segni di gravi avitaminosi – si alterna a fasi di occupazione abitativa. I campioni, inviati a Firenze per lo studio del Dna antico, sono stati estratti secondo una metodologia all’avanguardia dalle rocche petrose, ossia dalle porzioni dell’osso temporale che sono adibite alla protezione dell’orecchio interno, e hanno superato il primo step di analisi rivelando una conservazione ottimale del materiale genomico in cinque casi su sei. I risultati preliminari dello studio sono stati recentemente presentati ad un convegno internazionale in Spagna e saranno presto oggetto di pubblicazione.
Giada Molinari
Dipartimento di Antichità Filosofia Storia - DAFIST