Il crescente interesse per la medicina di genere o, meglio, la medicina genere-specifica, ha stimolato riflessioni e azioni concrete nel mondo della ricerca scientifica e sanitaria.
Sappiamo che sesso e genere influenzano la prevalenza, gravità e manifestazione delle malattie, così come l’accesso e la risposta a trattamenti sanitari, siano essi farmaci, dispositivi medici o altre tecnologie. La ricerca ha quindi due importanti obiettivi. Il primo, studiare al meglio queste differenze e i molti fattori biologici e socio-culturali che, interagendo strettamente fra loro, li determinano. Il secondo, utilizzare queste conoscenze per sviluppare trattamenti e strumenti sanitari efficaci e sicuri per uomini e donne.
La ricerca scientifica, da quella di base agli studi clinici, tende a studiare preferenzialmente modelli maschili e uomini, penalizzando le donne. In questi anni stiamo assistendo a una crescente presa di coscienza delle disparità di genere nella ricerca. Tuttavia, questa consapevolezza deve essere tradotta in pratica, per promuovere il passaggio dal “paradigma di una norma maschile” all’idea di ricerca e medicina genere-specifica.
Chi promuove e finanzia la ricerca sanitaria pubblica richiede ormai spesso che sia inclusa una prospettiva di genere, cioè che esperimenti di laboratorio e gli studi clinici siano pensati anche per studiare eventuali differenze negli uomini e nelle donne. Ad esempio, già dal 2014 le linee guida emesse dal National Health Institute degli Stati Uniti raccomandavano di testare farmaci e studiare le malattie in modelli animali di entrambi i sessi per aumentare le chances di comprendere le differenze e migliorare la trasferibilità dei risultati ottenuti. Più recentemente, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha finanziato tre studi sulla prevenzione secondaria nelle malattie cardio-cerebrovascolari nella medicina di genere. Molte società scientifiche in vari ambiti della medicina hanno iniziato a discuterne, proponendo progetti per lo studio delle differenze di genere e raccomandazioni non solo per la ricerca, ma anche per una corretta presa in carico, comunicazione e formazione.
Sono stati fatti molti passi in avanti, soprattutto nella consapevolezza e nel dibattito scientifico e pubblico su questi temi. Sono in un certo senso diventati “di moda”. Occorre evitare che rimangano solo buoni propositi o, peggio, un sostegno di facciata per migliorare la propria reputazione come ricercatori, una sorta di pinkwashing. Serve passare ad azioni concrete a supporto di una ricerca in grado studiare adeguatamente le differenze tra i sessi e i generi per garantire equità e appropriatezza delle cure.
Rita Banzi* – Farmacologa clinica responsabile del Laboratorio di Politiche Regolatorie in Sanità dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano
Iscriviti ai canali di Primocanale su WhatsApp, Facebook e Telegram. Resta aggiornato sulle notizie da Genova e dalla Liguria anche sul profilo Instagram e sulla pagina Facebook