Viva il Salone Nautico, che sta per infiocchettarsi tra pochi giorni per la sua nuova edizione, come le precedenti battezzata inesorabilmente come quella “dei record”. Per rendere più bella Genova nella sua celebrazione saranno nuovamente aperti e esaltati dalle visiti i "Rolli", i palazzi antichi, che sono la gloria di Genova, il suo tesoro da esibire sempre di più nella loro quantità che cresce nel restauro e rilancio e quindi nelle visite.
Era stato geniale Ennio Poleggi, indimenticabile a "scoprirli" in una funzione più pubblica, nella rappresentazione della loro storia che si apriva alla città e al mondo. E sono stati bravissimi nei tempi recenti, a partire sopratutto dal 2004 della Genova capitale europea della Cultura, a organizzarli in una grande dimensione di attrazione per tutti, che ha impegnato gli storici, ma anche gli esperti della architettura e i turistici. E ottimi, nei tempi ancora più recenti, gli esperti come il neo assessore alla Cultura, Giacomo Montanari, sotto la regia del sindaco Bucci, a incrementare l’operazione.
Ma la "scoperta" dei Rolli che ora è oramai stabile e in espansione, non basta a salvare il centro storico di Genova, quei 113 ettari di un tesoro inestimabile, non certo il più grande d’Europa, come molti dicono, che Roma e Napoli sono nettamente più grandi, per fare solo un esempio italiano, ma che è sicuramente quello con la più alta densità abitativa.
Anche se la mutazione di questa qualità abitativa, da residenti veri a turisti di passaggio grazie all’esplosione dei B&B e delle locazioni volanti, è oramai un dato consolidato ed anche preoccupante. Ebbene tra i tanti dibattiti che si fanno sul cuore di Genova, dalla desertificazione di Piccapietra, al destino della Sopraelevata, che tanto eccita giustamente tutti, al recupero delle periferie, che guai a chiamarle così "perché non esistono più", per quale ragione non compare più il centro storico, quello che Baget Bozzo chiamava "la città antica" e che solo negli ultimi decenni del Novecento qualche amministratore di buona volontà, come il sindaco Fulvio Cerofolini, qualche grande intellettuale, come il preside di Architettura, Edoardo Benvenuto e qualche grande architetto, neppure troppo hanno cercato di recuperare?
Il centro storico resta, sindaco dopo sindaco, un buco nero, dove le saracinesche si chiudono una dopo l’altra ( io vecchio cronista tengo da anni il conto una per una di quelle che non si aprono più), dove si corrono come in questi giorni le Caruggiadi, dove ci sono grandi atti d’amore e di coraggio imprenditoriale, come l’apertura in via del Campo dell’albergo più lussuoso di Genova, nell’ex palazzo Durazzo, dove si riaprono chiese chiuse da secoli come i santi Cosma e Damiano per presentare libri… eccetera eccetera.
Ma dove le zone buie restano e anzi si allargano e gioielli di enorme bellezza, come i portici di Sottoripa, quando cala la sera diventano pericolosissimi. Non fatevi ingannare in una giornata di sole come ci regala anche questo settembre scoprire i vicoli invasi da frotte di turisti, oramai di ogni razza e etnia e provenienza quasi a ingombrare il passaggio. Sono le folate dell’overturism che sembrano cambiare il destino dei luoghi prescelti, ma passano appunto come folate, dopo aver consumato magari una coca cola e un pezzo di focaccia, ah chje scoperta la focaccia genovese…..
Se, invece, fate un tuffo nel buoi dei caruggi, tra piazza Cavour indecentemente restaurata da poco tempo e la zona davanti alla Stazione Marittima, poi tornando verso Principe, scoprite un mondo diverso, che scorre davanti al tesoro perso, e non salvato neppure dal Museo dell’Immigrazione, della Commenda, che sarà pure affascinante nel suo galoppante mellting pot, nella sequenza delle razze e delle etnie presenti, ma capirete bene che quella realtà genovese è in mano ad altri.
A bande di spacciatori di droghe modernissime e letali, a trafficanti proibiti, insieme ai quali la prostituzione, che ha cambiato così tanto la razza delle "signorine" e i luoghi di esercizio, che ci sono sempre stati, sembra quasi oramai uno spettacolo vivente e quasi tranquillizzante.
Non scopriamo nel 2025 l’acqua calda, che da decenni si segnala e si denuncia. Negli anni Novanta un mio grande direttore, Eugenio Scalfari, mi mandò a vivere per tre giorni e tre notti nel centro storico, risiedendo in un lurido alberghetto a una stella, per raccontare meglio quella realtà, che si stava incendiando proprio davanti alle ondate della prima immigrazione.
Erano i tempi dei "comitati", che cercavano di salvare i caruggi dal degrado e dalle fiammate degli scontri duri con la polizia in armi e di un questore esperto, Marcello Carnimeo, mandato a Genova apposta, per domare le rivolte. Quel centro storico era meno pericoloso e infido di oggi, perché oggi il potere politico, amministrativo e quello di polizia, ha meno in pugno la città vecchia di allora.
Sono sfumati i grandi progetti dei grandi architetti ai quali amministratori oculati, appunto Cerofolini e la sua giunta, avevano affidato il compito di studiare il recupero urbanistico che precedeva e introduceva quello sociale ed economico.
Oggi si lascia che i caruggi vengano divorati dall’ overturism, che a Genova si concentra li perché dove altrove, se non nei chilometri quadrati che partono dal porto antico e dalle stazioni marittime e dei traghetti e si stendono verso Principe, via Garibaldi, piazza Matteotti e poi tornano indietro, senza neppure sfiorare il resto della città, come i rigeneratori urbani, della classe di Marco Montoli, segnalano da tempo.
Si mangiano la residenzialità di chi cede la sua casa all’affare turistico, al commerciante che si arrende all’alternanza dei suoi affari, all’immobiliarista che da decenni aspetta il boom di una rivalutazione prevista quando c’era la speranza del Supertreno, che avrebbe portato “i milanesi “ a cercare casa in questo ventre affascinante zeneise, tra focaccia, pesto e, appunto caruggi intriganti.
Cancellati i disegni dei grandi architetti, ridotti a zero i dibattiti di quelli che studiavano "diradamenti e abbattimenti", perfino spenta la febbre delle "movida", che fu una moda, poi una polemica, poi una realtà acquisita, ma meno urlante, nel centro storico esistono isole miracolose, come i Giardini Luzzati, grande operazione politico sociale economica, Sarzano, lì sopra con sant’Agostino, il più bel Museo di Genova, Campetto e Soziglia, dove imprenditori come Romanengo e Douce e Piombo di Ovs scommettono con coraggio. Il resto?
O siamo border line, come quella via Prè che aspetta sempre dall’alto la apertura di Palazzo Reale e sulla testa dell’occhialeria sociale di Repetto, impresa anche questa di pregio umano e sociale, appunto, ed economico e come la Darsena del Museo del Mare che aspetta di diventare del tutto una calamita positiva, anche se devono smontare ora perfino la passerella di legno che vi conduce, perché era diventata il deposito segreto della droga. O ci basta la musica di Fabrizio, Faber che rimbalza dolce in via del Campo e oltre e che qua trovava la sua radice, la sua magica ispirazione.
Certamente nel centro storico rimane da sempre un problema di sicurezza, di polizia, accentuato dall’espandersi del traffico di droga e dal fatto che questa area resta il ventre molle dell’immigrazione più povera, senza appigli sociali.
Ma è anche un problema enorme della città, che nel Dopoguerra non affrontò quel tema, accettando lo svuotamento abitativo e la corsa verso i nuovi quartieri in costruzione affannosa ovunque e non contrapponendo un piano.
Ma allora urgevano i grandi problemi delle infrastrutture, del porto da ricostruire, dei musei bombardati, perfino degli approvvigionamenti idrici. C’erano macerie ovunque e non è un caso che quelle del centro storico sono rimaste tali più a lungo che altrove.
Poi, decennio dopo decennio, il tempo è passato e il mondo è cambiato, ma i caruggi sono sempre lì, molte botteghe non ci sono più, il vice sindaco di Prè, autorità malavitosa, accettata anche dalla polizia, non controlla più purtroppo, la bellezza è intatta, come certi odori, certi afrori inconfondibili, tra i soffi del porto e il profumo che si spande dalle botteghe storiche. Ma la città se lo dimentica.
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