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di Luigi Leone

 

“L’Europa guardi ad altri Paesi, oltre agli Usa”. In sé la ricetta di Sara Armella contro i dazi imposti da Donald Trump è semplice. Armella, scuola Victor Uckmar, è tra le migliori in Italia nel suo mestiere, quindi sa di che cosa parla. La sua è una ricetta peraltro non nuovissima. Ma è anche una esortazione. Eh sì, perché “i nostri polli”, cioè gli imprenditori, li conosciamo bene. E quella che appare come la via maestra, al momento è pochissimo battuta.

Nell’immediatezza dell’accordo sui dazi al 15% - che è meglio del possibile 30, ma assai peggio del 5 o dello zero ancora in vigore a fine luglio – i nostri imprenditori mica si sono messi di buzzo buono a studiare le possibili alternative. Macché, hanno subito battuto cassa: “Il governo ci deve aiutare”. E il governo guidato da Giorgia Meloni ha immediatamente risposto “presente”. Poi, visti i chiari di luna, nessuno sa in quale misura saranno possibili i sostegni, ma intanto… E le opposizioni, vale a dire Pd, Cinque Stelle, Avs e cespugli vari, giù ad accusare l’esecutivo “per essersi fatto trovare impreparato” e per “non saper rispondere alle legittime attese degli imprenditori”.

Tutti, cioè, a dire la stessa cosa, con sfumature politiche diverse a seconda della bisogna. Sara Armella rimette le cose a posto: le aziende facciano di necessità virtù e guardino ad altri mercati. Dico la verità: poiché ho speso molta parte della mia carriera di giornalista a seguire le “gesta” degli imprenditori, non sono così sicuro che “sappiano” fare diversamente da oggi. Di sicuro non vogliono, perché è più comodo e più semplice chiedere, e magari ottenere, un aiuto dal governo. Con l’arma del ricatto, anche, cioè gli oltre 100.000 posti che sarebbero a rischio a causa dei nuovi dazi americani.

Ora, non v’è dubbio che il pericolo esista. Ma non è imminente. Fior di economisti hanno spiegato che ci vorranno dai sei ai dodici mesi, e forse persino di più, prima che si avvertano gli inevitabili contraccolpi. Bene: questo tempo lo impieghiamo con le aziende che piangono oppure le stesse cominceranno a darsi una mossa? Non riesco ad essere ottimista. In Italia, e ancor più in Liguria, ho visto trascorrere inutilmente gli anni con le imprese che dovevano innovare, raggrupparsi almeno per fare gli acquisti comuni, trasferirsi in luoghi più adatti e via elencando.

La politica ci ha messo molto del suo. In precedenza e pure adesso, ad esempio predicando parecchio sull’incertezza che ha caratterizzato il periodo subito seguito all’elezione del nuovo Presidente Usa. Ma l’incertezza era sulla quantità, non sul fatto che Trump avrebbe imposto i dazi. E siccome la ricetta di cui parla Armella (si cerchino alternative) è la più realistica, quante imprese hanno saggiamente utilizzato quei mesi per cominciare a diversificare le esportazioni? La risposta alla domanda ovviamente non la possiedo e confesso che neppure la voglio: ne ho paura.

I dazi sono un problema, non c’è dubbio. Ma lo è pure la “comodità” degli imprenditori che preferiscono i sostegni pubblici, mostrando di aver smarrito la via del rischio. E lo è pure la politica, che fa di tutto per essere complice dei cattivi comportamenti anziché uno stimolo per quelli virtuosi. Il problema dei problemi è che con Trump e dopo Trump nulla sarà come prima. Lo abbiamo toccato con mano per altre vicende, come ricordavo. Ma non sembra essere servito.

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