Quanto è difficile riprendere il cammino di un processo culturale che alzi il livello, aiutando Genova a ritrovare la sua grande identità culturale, a essere identificata nel mondo che cambia, nelle invasioni dell 'overturism, nella disgregazione dei gusti classici, in una scuola che diventa multirazziale senza esserne preparata!
Finalmente Genova, la Superba, ha un assessore alla Cultura, degno di questo nome, anche se multiforme nelle sue manifestate propensioni politiche, sicuramente determinato a fare il suo mestiere, Giacomo Montanari, dei Montanari che non è poco nella recente storia zeneise.
Ma ha un palazzo Ducale al centro della sua Fondazione culturale, che stenta ad adempiere al suo ruolo e non solo perchè Luca Bizzarri, la ex Iena, grande comico “a' la page” e attore notissimo, già suo presidente anche molto discusso in quanto tale, si diverte a trafiggerlo con i suoi dardi polemici, in molta parte giustificati da una fase di transizione nel suo governo, troppo lunga, troppo incerta, con un futuro immediato che non può essere solo il restauro della Torre Grimaldina.
Lo spoyl sistem non si adatta molto a una istituzione basilare come questo palazzo, che quando lo battezzarono amavamo con molti eccessi chiamare “il nostro Beaubourg”, grazie alle speranze che vi riponevamo di trasformarlo nella fucina delle nostre arti, della nostra storia, delle nostre profonde capacità, nel luogo dove i genovesi si incontravano per fare cultura o anche solo per ascoltare, studiare.
In parte lo è diventato e in parte no. Ed ora il suo mancato perfezionamento emerge perchè c'è l'ennesimo tormentato passaggio delle consegne da un presidente -imprenditore, ricco di attività e di propulsioni anche culturali, Beppe Costa. a una presidenta avvocata fiscalista, da un consiglio di amministrazione che si ricompone con conferme e rinnovamenti, che tengono più conto dello scambio di consegne destra-centro, che non delle competenze culturali vere.
Con una direttrice confermata, Ilaria Bonacossa, che ha scelto il basso profilo mediatico rispetto alla sua predecessora, che sparava dalle sue Terrazze i fuochi artificiali, Serena Bertolucci.
Mancano le mostre grido, che segnarono l'alba e la maturazione di questo Palazzo con la presidenza inarrivabile di un genio come Arnaldo Bagnasco, con lo “Siglo de los genoveses”, per esempio e le altre mostre di un tempo che oggi sembra d'oro e manca la guida rocciosa e persistente dello storico Luca Borzani, che con la sua presenza quotidiana attraversò il deserto tra quel tempo e quello successivo, molto più difficile, anche quando si erano spente le luminarie di Genova 2004 e quando di dovette passare dalla possibilità di allestire le mostre “in casa” a quando si dovette “affittare” all'esterno..
Ma oggi è ancora un altro tempo e, comunque, il palazzo è il centro vivo della città culturale anche se a Ferragosto era una landa desolata in preda a orde di turisti disinformati e vaganti nel vuoto.
Oggi ci vuol altro e non è colpa di chi guida e guiderà la nave in questo tempo sconvolto da una geopolitica, che pure trova proprio nel saloni ducali la sua bussola con il prezioso appuntamento annuale di Limes di Lucio Caracciolo.
Ma oggi non ci si può accontentare di Moby Dick e delle speranza di una ennesima esposizione su van Dych, ancora incerta e anche un po' ingiustamente contesa nella sua curatela per la presenza di Anna Orlando nella sua gestazione, indiscutibile star culturale della città, che ora si trova dall'altra parte della maggioranza politica e che quindi un'ottica non professionale escluderebbe dalla partecipazione.
Ci vuole altro: è la città che vuole rilanciare quella identità nel tempo moderno e che potrebbe avere ottime occasioni da una operazione simile. Anche oltre all'idea di un Museo della Repubblica un po' ridicolosamente naufragata, tra beghe pecuniarie e ignoranze storiche.
Intanto chi lo sa che a ottobre insieme a Moby Dich al Ducale inaugura a Palazzo Reale, museo statale, una mostra gioiello dedicata a San Giorgio, alla sua storia, ai suoi simboli, alle sue effigi, ai suoi segni, alla sua memoria?
Che cosa c'è di più identitario di san Giorgio per i genovesi, oggi ancor di più che quel ponte nuovo, miracolosamente ricostruito, si chiama san Giorgio e che Bucci non perde occasione di lanciare il suo grido di guerra “pe' Zena e pe' San Giorgio!!”?
Non solo mostre nuove e la speranza di quella che dopo tanti anni potrebbe fare veramente colpo, magari dedicata a un monumento genovese come l'ammiraglio Andrea Doria, personaggio unico per come può riassumere la storia genovese e intorno al quale quante competenze potrebbero esprimersi?
Insomma un assessore titolato oggi Genova ce lo ha e pure lo scenario che comprende non solo i Rolli, ma perfino un nuovo Museo in allestimento, come Palazzo Raggio di recente acquistato dal Ministero dei beni Culturali in Largo Zecca e nel quale finalmente troveranno spazio di esposizione almeno duecento opere oggi parzialmente esposte in Spinola in Pellicceria.
Un Museo nuovo e a Genova praticamente nessuno se ne è accorto.....
Certo oggi dopo anni nei quali il ruolo culturale era sottovalutato da sindaci e presidenti come Bucci e Toti, che avevano altro da fare o che preferivano tenersi la delega o la affidavano temporaneamente a assessori immaturi o chiaramente incompetenti nella materia, la cultura potrebbe diventare centrale, alla faccia dell 'overturism o proprio per quello, nella ricerca di quella identità centrale non solo per sfoggiare i palazzi dei Rolli e lo stesso Ducale, ma la storia profonda di Genova, che riguarda anche l'economia e quello che nell'oramai dimenticato 2004 avevamo celebrato come “il Saper Fare”.
Ci vogliono le energie e gli uomini capaci e questo è più difficile dopo avere colpevolmente rinunciato, per esempio, a personaggi come Piero Boccardo, da ultimo grande dirigente dei Musei di Strada Nuova, allestitore di mostre mitiche, il profondo storico dell'arte, che ora può dedicarsi a altri scenari, dopo che docenti universitari illustri come Lauro Magnani sono andati in pensione, dopo che sono scomparse figure, magari anche un po' divisive, come Pippo Marcenaro, dopo che rimpiangiamo come abbiamo fatto con Mario Paternostro nella nostra trasmissione “Ti ricordi?”, leader storici di queste materie come la Sovraintendente Caterina Marcenaro, detta la zarina. Che insieme al cardinale Giuseppe Siri e a Angelo Costa, capostipite della grande dinastia e a Paolo Emilio Taviani, il ministro democristiano, erano indicati come quelli che avevano ricostruito sotto tanti profili diversi Genova.
Così, partendo proprio dal destino in discussione di Palazzo Ducale e delle sue leadership, le ferite e le perdite culturali di Genova sono tante e spesso anche dolorose e ingiuste. Ma sono rimarginabili.
Basta guardare dal profondo e dai tanti suoi angoli segreti questa città “a strati”, che sicuramente deve trovare i suoi nuovi equilibri nella lunga trasformazione tra grandi opere da finire, da cancellare, da rilanciare, nella sua coscienza demografica di più anziana in Italia e in Europa, nei suoi dislivelli di reddito, che la schiacciano ancora di più come ventre molle di una immigrazione che riempie i suoi buchi neri urbani e di una emigrazione che la svuota dei cervelli giovani.
Ma se si partisse dalla sua cultura identitaria, da quell'urlo per Genova e per san Giorgio e magari anche per Andrea Doria e Cristoforo Colombo, il più grande di tutti.......