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3 minuti e 54 secondi di lettura
di Franco Manzitti
Carlo Castellano

Ci vogliono uomini di buona volontà capaci di grandi visioni per cambiare le città. E’ questo quello che manca alla Genova di oggi post bucciana e che la ultima svolta di Erzelli, la collina capitale dell’high tech fa capire, dopo l’ingresso nel suo capitale di Amco, società controllata quasi al 70 per cento dal Ministero del Tesoro.


La Erzelli di oggi con le sue aziende, il suo parco, le sue permanenti aspettative e sopratutto i suoi 2000 uomini che ci lavorano, è il frutto della visione di Carlo Castellano, un personaggio che è perfino complicato definire in poche parole.
Grazie a lui quella collina, che era il deposito di 40 mila container, sotto il cielo più bello di Genova, secondo la definizione di Renzo Piano, è diventata l’unica grande vera scommessa di Genova negli ultimi ventidue anni, a parte alcune delle grandi opere in corso. Una promessa di trasformazione che forse con questo cambio di azionisti, tutto svoltato verso il pubblico, potrebbe avere una svolta definitiva, diventando veramente quello che si aspetta da troppo tempo e che Castellano aveva immaginato quando già si era inventato Esaote, l’azienda di produzione biomedicale che abitava in pratica sotto gli Erzelli, allora trasfigurati dai container.
Me lo ricordo Castellano, dopo le alluvioni cicliche che inondavano la sua fabbrica come cascate dalla collina sovrastante, infuriato ma deciso a trasformare quello spazio in qualcosa di nuovo per una città affamata di spazi, dove insediare le aziende del futuro, che allora non si immaginavano ancora così velocemente prospettiche nel loro sviluppo e nella loro proliferazione.
Eravamo al secondo destino di Erzelli, che era stata già il luogo un po’ meraviglioso, un po’ segreto di piccole aziende, di posteggi, di fabbrichette e poi era diventata quell’ammasso di container abilmente gestito da Aldo Spinelli, che l’aveva comprata da Sandro Biasotti, due maghi dell’autotrasporto, sempre in cerca di spazi e in quel caso attori di una delle operazioni di compravendita più significative ai tempi della privatizzazione del porto.


Ci voleva uno come Castellano per capire che quel tetto di Sestri Ponente, un po’ ignoto, un po’ inaccessibile era quel che Genova cercava per offrire al suo sviluppo una prospettiva finalmente nuova e adeguata ai tempi.
Non era ai suoi piedi un secolo e mezzo prima che l’Ansaldo si era inventata l’industria del Novecento nei suoi capannoni?
Ventidue anni dopo la battaglia dell’ex dirigente Italsider, gambizzato ferocemente dalle Brigate Rosse perché cercava il dialogo tra le parti sociali in lotta , diventato manager by out di grandi idee realizzate, sembra una battaglia eterna, quasi una guerra dei trent’anni tra questa spinta a sviluppare e la città dei no e il governo delle indecisioni. Abbiamo visto sparire i container e i megaparking, sorgere le sedi in acciaio e vetro delle prime aziende, dibattere quel destino multitasking del nuovo spazio, l’ospedale moderno, la facoltà di Ingegneria, che oramai non si chiama neppure più così, lo spazio verde grande sfogo di delegazioni soffocate da banchine, porti, cantieri, grandi fabbriche. Hig Tech la parola magica si è concretizzata con insediamenti crescenti, da lì è sceso in città uno come Bucci, che amministrava Liguria Digitale, lì sono arrivati Ericsson, Siemens e ovviamente la Esaote di Castellano, finalmente perfino i laboratori di IIT, dopo lo sbarco a Morego.


Quella era la trasformazione vera della città, dopo i cambiamenti del Novecento, tra de industrializzazioni e ricerca de centri direzionali, Corte Lambruschini, San Benigno.
La più rivoluzionaria e la più incisiva delle trasformazioni. Il vero terzo destino di quel luogo che dominava il Ponente genovese, quel posto dove i genovesi spostavano dall’ Ottocento i problemi dello sviluppo industriale, riempendo il mare, cancellando le spiagge e la costa, demolendo, spianando.
Sarà la volta buona? Castellano vedrà finalmente completata la sua visione, oggi che continua senza arrendersi mai anche al tempo che corre, con il progetto del Liceo tecnologico, finirà quella “guerra dei trent’anni” che si combatte e si vedrà finalmente una pace, gli insediamenti definitivi dell’Università, la costruzione di uno studentato, degno di una città come questa, un ospedale magari più orientato alla ricerca, come sembra essere, la nuova Silycon Valley, che svetta sopra l’aeroporto, collegato con la funicolare?
Non lo sappiamo. Erzelli ha promesso e illuso per tutto questo tempo e non si può certo dire che non sia stata una grande visione giusta, piena di successi, ma anche di amarezze.
Resta che le visioni bisogna averle. E non c’ è nuova tecnologia e nessuna intelligenza artificiale che possa immaginare il futuro, almeno quello delle città. Per ora.

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