I finali delle campagne elettorali sono sempre un po' uguali con i contendenti che sparano l'ultima cartuccia, nell'ultima adunata sull'ultimo palco o piazza o qualsivoglia scenario di una cavalcata che è sempre molto ripetitiva.
Ma questa volta è diverso perchè Silvia Salis fa il suo numero finale da sola su un palco, in una piazza inconsueta per la sinistra o il centro sinistra che dir si voglia e parla per trentacinque minuti, senza nominare uno solo dei partiti che la appoggiano e che non sono mai stati tanti, una alleanza extralarge, una cosa mai vista che si schiera per la prima volta in Italia e che nello “sparo” finale semplicemente non c'è.
C' è' solo lei Silvia Salis 39 anni, civica, che chissà cosa vuol dire oramai, che parla a braccio con una oratoria imprevista nella sua fluidità in un esordio assoluto di piazza.
Ma questa volta è diverso perchè dall'altra parte c'è Pietro Piciocchi, che ha concluso al Porto Antico con tutti i suoi alleati, perfino la premier Giorgia Meloni in collegamento e che corre come un erede, in pista per diritto successorio e governando da reggente la città da mesi e anche questo non era mai accaduto e i suoi alleati non sono solo presenti, ma anche un riferimento preciso della sua bandiera, che è la continuità.
Sono due modelli diversi, che si sono contrapposti per un tempo lungo, anche se poi accorciato, considerando che la battaglia vera è partita quando Salis è sbucata dal nulla politico: la continuità contro la novità assoluta.
Ma stiamo parlando degli schemi e dei personaggi, dei leader di quello che la politica di oggi, oramai priva di contenuti valoriali, di identificazioni ideologiche, se non sfumate, ci offre oramai inesorabilmente. E che poi trasforma le contese in battaglie di slogan, di insulti spesso, di attacchi continui, di scambi di accuse, di contrapposizioni personali esasperate. Dove i social impazzano.
In questo la seconda campagna elettorale cui assistiamo in pochi mesi dopo le regionali ha superato persino la prima, quella di Bucci contro Orlando. Anzi in qualche modo questa è stata la esasperazione della prima, eccitata dalla presenza di Silvia Salis, che ha catalizzato un po' tutto.
A partire dalla immediata, folgorante e inconsueta indicazione di un vicesindaco da parte del centro destra, nella figura di Ilaria Cavo, parlamentare di “Noi Moderati”, il partito fondato da Giovanni Toti, subito fatta scendere in campo per contrapporre alla novità esplosiva la contromossa di un'altra donna, per di più considerata una acchiappa preferenze. Una specie di ammissione di debolezza, anche se questa affermazione fa infuriare i suoi autori.
Ma i contenuti, dopo gli schemi e i leaderismi delle forze in campo? Non credo di aver mai assistito a una campagna più deludente di questa, perchè la contrapposizione del continuismo con la novità dirompente della candidata imprevista, civica, donna e piovuta da lontano, da un meccanismo di scelta non del tutto chiaro e anche un po' miracolistico, ha come cancellato quello che ci si poteva aspettare in un momento così delicato per questa città.
Genova è oggi una città ricca di capitali depositati nelle banche e nei forzieri, ma anche del più alto dislivello di reddito in una società oramai decomposta nella sua formazione con, per esempio, alle urne sessantamila “nuovi “ genovesi su 480 mila elettori, con un record italiano di famiglie composte di una sola persona, con le generazioni di ultra sessantenni e ultrasettantenni, che oramai sono una quota consistente sopra il 40 per cento dell'intera popolazione.
E' una città lenta nelle sue decisioni vitali di trasformazione, dove da dieci anni non si inaugura una fermata della metropolitana, dove da centoventi anni si aspetta il Terzo Valico, da quaranta la Gronda e ora altre attese si creano, dopo una pioggia di progetti che l'hanno un po' intontita. Il centro destra li chiama salti verso il futuro, il centro sinistra li cataloga come rendering, i disegni che li illustrano.
“E' una città ripiegata su se stessa _ come scriveva Eugenio Montale, uno degli ultimi nostri Nobel_ perchè sa quello che ha perso e non sa quale è il suo futuro.”
La campagna elettorale è stata una sfida tra i concorrenti a dire si o no alle grandi opere, si è logorata dietro le opposte interpretazioni sui numeri del suo sviluppo o della sua decrescita. Si è incaponita sullo Skymetro, fino all'exploit finale del progetto approvato cinque giorni prima del voto, ma non ci ha spiegato che Genova sarà quella non di domani mattina dopo lo spoglio, ma del futuro.
A destra si immagina la città dell'ottimismo, delle grandi opere finalmente concluse, dei giovani che non scappano ma anzi tornano, del turismo vincente e in esplosione, con diverse letture culturali, dell'attrazione internazionale, perfino dei primati mediterranei e internazionali, delle primogeniture.
A sinistra promettono una città di nuove infrastrutture sociali, più adatte alla realtà delle fragilità anagrafiche, alle povertà incombenti per il lavoro che manca o non basta, alle necessità delle famiglie che necessitano di strutture sicure per l'assistenza, di una cultura diffusa, della democrazia che torni nei quartieri depredati dalle amministrazioni precedenti delle loro capacità di autonomia e, quindi, di vicinanza ai territori.
Si sono sfidati accusandosi di essere o i partiti del no, della decrescita felice o le cupole di potere che decidono dall'alto i destini della città, assoggettandosi a interessi che poi inciampano nelle inchieste giudiziarie, che hanno provocato lo sconquasso. Le due elezioni forzatamente anticipate.
Hanno personalizzato lo scontro non solo perchè in campo è scesa la ragazza Salis, ex campionessa olimpica e vertice del Coni, dalle umili origini popolari e di sinistra, ma dal pedegree attuale da quartieri alti, ma anche perchè la figura di Marco Bucci, il sindaco uscente e diventato per necessità della destra il candidato vincente in Regione, ha occupato la campagna, inizialmente tenendo un po' in ombra il candidato vero Piciocchi, con la evidente nostalgia di un ruolo che forse gli si attagliava meglio di quello che oggi ricopre. E con la difesa strenua del suo operato.
Genova sa bene quello che ha perso, ma non può pensare che il suo futuro sia alla fermata dell'ultimo Skymetro o che riconquistando l'autonomia dei suoi Municipi, proprio nell'anno del centenario della “Grande Genova”, si determini un nuovo sviluppo.
Sono sicuri di vincere la Salis , sola sul suo palco e Piciocchi circondato dai suoi alleati. Noi aspettiamo che si diradi il fumo della campagna e forse capiremo di più.
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