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Attualità

Il neuroingegnere Giacomo Valle lavora al progetto di una mano robotica controllata dal cervello
6 minuti e 28 secondi di lettura
di Tiziana Oberti

"Tornare in Italia? È molto difficile, sarebbe veramente una scelta solo affettiva, perché a livello di carriera sarebbe un grosso colpo: non ci sarebbe lo stesso investimento in quello che faccio". Così Giacomo Valle, genovese, poco più che trentenne, professore di bionica alla Chalmers University of Technology di Göteborg (Svezia) inserito nel 2021 nella top 5 di Forbes tra i migliori ricercatori italiani under 30 per un progetto che sembra uscito dalla fantascienza: una mano robotica controllata dal cervello, capace non solo di muoversi, ma anche di restituire sensazioni. Uno scienziato che lavora a interfacce cervello-robot e sogna ancora il cono della gelateria di famiglia e che dimostra quanti talenti l'Italia riesca a far crescere, e di quanto spesso faccia fatica a trattenerlo. La sua storia a Primocanale nella rubrica 'Finestra sul mondo' dedicata ai liguri all'estero in onda dal martedì al venerdì alle 13.

Da Genova al mondo: la rotta di un neuroingegnere

"Ho lasciato la Liguria ormai quasi dieci anni fa - racconta - io mi occupo di neuroingegneria, sono un neuroingegnere, mi sono laureato proprio a Genova sia la mia laurea triennale sia magistrale e poi mi sono spostato in vari paesi: dalla Svizzera agli Stati Uniti, adesso alla Svezia, per seguire un po’ questa passione e questo interesse per la neuroingegneria".

Il percorso è quella tipico dei cervelli italiani ad alta specializzazione: studi in patria, dottorati e ricerca avanzata all’estero, dove i finanziamenti sono più consistenti e il sistema è strutturato per far dialogare università, ospedali e industria.

Göteborg, una “Genova del Nord” con più ricerca e servizi

"Sono a Goteborg professore in bionica alla Chalmers University of Technology, l’università politecnica della Svezia dell’Ovest - prosegue - è la seconda città più grande della Svezia. Ho scelto questa realtà per vari motivi: da bioingegnere ho la necessità di una connessione forte tra una scuola politecnica, che in questo caso è la Chalmers University, e un ospedale: il Sahlgrenska University Hospital è il più grande ospedale dei Paesi del Nord e ha un centro per pazienti con lesione spinale che è il centro nazionale".

In Svezia il sostegno alle famiglie non è solo uno slogan

"È una città con un’alta vivibilità, io cercavo anche una città con il mare: qua abbiamo il porto più grande del Nord Europa, quindi ha delle similarità con Genova se vogliamo. La Svezia - aggiunge - è un paese molto aperto per natura, molto progressista, dove le politiche sociali e il sostegno alle giovani famiglie non sono slogan. Punta molto su un work-life balance. Prima ero negli Stati Uniti: qui è molto più tranquillo, c’è tanto sostegno sociale al di fuori dell’università e del lavoro".

Dalla fantascienza al lettino del paziente: che cos’è la neuroingegneria

Il cuore del suo lavoro è la neuroingegneria: una disciplina che sembra scritta per un film di fantascienza, ma che in ospedale è già realtà. "Quello che facciamo nel mio laboratorio è unire la parte elettronica e robotica a servizio di persone con disabilità che colpiscono il sistema nervoso, sia periferico sia, soprattutto, il cervello - spiega - l’obiettivo è ambizioso: ristabilire funzioni motorie e sensoriali dove la medicina tradizionale si ferma, in particolare cerchiamo di ristabilire alcune funzionalità sia motorie che sensoriali: una mobilità ridotta, un’impossibilità di utilizzare gli arti superiori o di camminare. Invece di usare un approccio farmacologico, noi usiamo dispositivi medici, componenti elettroniche che possiamo impiantare nei vari punti del sistema nervoso per comunicare con il cervello.

Si tratta di impianti cerebrali, spinali o periferici che creano un canale di dialogo tra il sistema nervoso e dispositivi esterni. "Permettono di ristabilire e far recuperare alcune funzionalità sensoriali e motorie perse".

Nel suo laboratorio cercano di ristabilire funzioni motorie e sensoriali dove la medicina tradizionale si ferma

La mano robotica che parla col cervello

Nel 2021 Valle è stato inserito da Forbes nella top 5 dei giovani scienziati italiani per il suo prototipo di mano robotica.

"Si parla di connessioni cervello-robot, la possibilità di controllare protesi direttamente col cervello e la possibilità di sentire sensazioni da un arto robotico - racconta - quindi creare una simbiosi tra robot e uomo che nelle science fiction molte volte è per aumentare il potere o le capacità umane. In questo caso non è a quei livelli, almeno non ancora, ma è principalmente per dare un supporto a pazienti che non hanno quelle funzionalità".

L’orizzonte, insomma, non è il supereroe potenziato, ma il paziente che torna ad afferrare un bicchiere, allacciarsi le scarpe, percepire il contatto di un oggetto. "Hanno la necessità di un robot, di un esoscheletro o di un dispositivo che permetta di raggiungere le stesse capacità che abbiamo noi".

I pionieri sono i pazienti

"Ci sono voluti molti anni già per arrivare nella fase di prototipazione - spiega Valle - abbiamo fatto i primi test, ci sono stati vari pazienti che hanno avuto impianti con questa tecnologia e questa fase è critica per capire proprio le funzionalità, i benefit che si possono restituire al paziente.

Ma i veri protagonisti, insiste, non sono i ricercatori: "I pionieri sono veramente questi primi soggetti partecipanti, che hanno deciso di partecipare e aiutarci in questa prima fase. Decidono di avere l’impianto magari temporaneamente e magari non gli porta diretti benefici, ma lo fanno per garantire che i pazienti nel futuro possano avere accesso a questa tecnologia".

Oggi il progetto è in una fase di testing con un piccolo gruppo di persone. "Ci aiutano a definire le caratteristiche, a migliorare la tecnologia per poi andare nei prossimi anni a supportare e ad aiutare molte più persone".

Trial in Europa e il nodo delle aziende

La domanda che tutti fanno a chi lavora in laboratori così avanzati è: quando lo vedremo davvero in corsia? "Abbiamo intenzione nei prossimi due anni di fare un altro trial clinico un po’ più esteso, per un tempo più lungo, in pazienti qua in Svezia, stiamo lavorando con l’equipe chirurgica e con il team di riabilitazione. Nel prossimo paio d’anni io credo che arriveremo ad avere un impianto anche qua in Europa". Poi, però, sarà necessario il salto industriale: "Lì servirà la spinta verso un’azienda che possa portare e distribuire questa innovazione ai pazienti".

L’Italia che resta nel cuore

Valle non ha dubbi sulla qualità di molti centri di ricerca italiani. "L’Italia ha dei centri di eccellenza sicuramente: anche a Genova abbiamo l’IIT, poi la Scuola Superiore Sant’Anna, il Politecnico di Milano. Però l’investimento sull’innovazione, soprattutto sulla fase traslazionale – quella di portare i prototipi al paziente – è un po’ più difficile".

"Gli investimenti e quanto è dedicato alla ricerca magari non è comparabile ad altri Paesi europei. Lo stesso i salari per i dottorandi o le persone che lavorano nel team certe volte non sono comparabili a quelli di qua, o della Germania, o di altri Paesi europei".

"La voglia di rientrare secondo me c’è sempre. Abbiamo sempre un occhio comunque a quello che succede in Italia e un’idea magari di tornare, perché abbiamo parte della famiglia, amici, siamo attaccati all’Italia. La voglia di far beneficiare di queste tecnologie i pazienti italiani c’è. Però c’è questo aspetto complicato, che è proprio l’investimento nell’innovazione".

Da qui una frase che suona come una condanna: "È molto difficile, perché diventa veramente una scelta solo a livello affettivo. A livello di carriera e di quello che si può effettivamente fare, sarebbe un grosso colpo".

Genova nel DNA: "Manca il gelato"

Nonostante i riconoscimenti internazionali e una carriera in ascesa nel Nord Europa, Valle resta profondamente legato alla sua città. Quando gli chiedi che cosa gli manchi di più dell’Italia, e della Liguria, non ha dubbi: "Molte cose… direi il gelato, perché il gelato è una cosa molto difficile da trovare buono all’estero - sorride - poi aggiunge un dettaglio che spiega meglio la nostalgia: "Mio fratello ha una gelateria a Genova, quindi sono stato cresciuto col gelato.".

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