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Attualità

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di Matteo Angeli

La vicenda dell’acciaio italiano sembra girare sempre intorno a una sigla: DRI, Direct Reduced Iron. Un impianto che, nelle intenzioni, dovrebbe segnare il passaggio dall’acciaio a carbone a quello “verde” alimentato da forni elettrici. Ma senza DRI non esiste forno, e senza forno non esiste futuro per Cornigliano. Eppure la realtà è molto più dura delle slide ministeriali. Il DRI è un impianto pesante, energivoro, impattante. Ha bisogno di temperature altissime, di approvvigionamenti sicuri di gas, di infrastrutture energetiche dedicate. A Taranto lo contestano, a Genova sarebbe semplicemente impossibile collocarlo. L’idea di costruirne uno sotto l’aeroporto è talmente surreale che nessuno la prende sul serio.

E allora? Taranto non riesce a garantire materia prima neppure per sé stessa, figuriamoci per rifornire Cornigliano. Gioia Tauro viene evocata come ipotesi alternativa, ma rimane un disegno sulla carta. Intanto il tempo corre e la gara del 15 settembre incombe. Gli investitori internazionali, di fronte a un quadro così nebuloso, difficilmente si lanceranno in un’avventura senza catena di fornitura chiara e senza certezze politiche. Più verosimile che un attore nazionale scelga una strada più prudente: mantenere Genova nella nicchia dei laminati e della latta, rifornendo l’impianto di coils come avviene già oggi.
Ma il vero punto non è la promessa di 600 posti di lavoro nuovi, quanto la difesa di quelli che ci sono già: 900 dipendenti, 200 dei quali in cassa integrazione. Senza una prospettiva industriale concreta, Genova rischia di trovarsi stretta in una contraddizione fatale: troppi lavoratori per chiudere, troppo pochi per investire. E allora bisogna avere il coraggio di dirlo: Cornigliano non è condannata a essere acciaio per sempre. Il futuro del quartiere e delle sue aree industriali passa anche da scelte di diversificazione, da nuovi insediamenti, da un piano che non si limiti a tenere in piedi le vecchie ciminiere con le stampelle della cassa integrazione.

Se non si risolve Taranto, non si risolve Genova. E se non si decide cosa fare di Genova, si condanna una città intera all’attesa infinita. Continuare a inseguire l’illusione del DRI sotto la Lanterna non serve a nessuno: serve invece la lucidità di immaginare una nuova stagione industriale, che parta dai lavoratori e dal loro diritto a un futuro.