Cronaca

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“L’ipotesi più verosimile per ora è che il colpo sia partito dalla mano dello stesso bambino”. Marco Lorenzoni, comandante dei carabinieri di Genova, rilascia poche e caute dichiarazioni mentre un bambino di 12 anni, genovese, sta lottando tra la vita e la morte: è in coma farmacologico all’ospedale Gaslini dove la mamma lavora come infermiera. E’ stata lei, di ritorno con il fratellino di 7 anni dal catechismo, a trovarlo nella casa di via Gibilrossa a Quarto, riverso a terra in una pozza di sangue, il cranio trapassato da un colpo di pistola, da parte a parte. Che si sia trattato di un gioco finito male o di un tentativo di suicidio non si sa ancora. Perché in casa c’era una pistola carica, reperto della seconda guerra mondiale, raggiungibile da un bambino? “Era detenuta regolarmente – spiega Lorenzoni – ed era sottochiave in un armadietto ma evidentemente le precauzioni che i genitori credevano sufficienti non si sono rivelate tali”. Il piccolo avrebbe trovato le chiavi e avrebbe imbracciato l’arma. Poi il buio. Il padre è appassionato di caccia, in casa molti i fucili. Aveva un negozio, poi chiuso, faceva il giardiniere ma era in attesa della licenza da tassista. Quando alle 18 è successo il fatto, era in piazza Corvetto a seguire un corso. “Come in tutti i casi quando c’è una tragedia senza testimoni si esegue un’attenta analisi dei reperti – spiegani i carabinieri – analizzeremo anche le lastre sulla testa del piccolo”. Già ascoltati, con molta delicatezza, i genitori per ricostruire quella porzione di giornata che ha portato alla tragedia. Nella palazzina a Quarto, quartiere residenziale con giardinetti e palme, domina il silenzio. La famiglia è descritta come normale. D’altronde se il bambino avesse avuto problemi di salute o depressione forse non sarebbe stato lasciato solo in casa. (Elisabetta Biancalani)