Quello che ormai è evidente è che bisogna immaginare e disegnare una città diversa. La pandemia con cui dovremo convivere ancora, nonostante alcune sortite ottimistiche, impone a chi governa scelte drastiche, impegni fortissimi di spesa, cambiamenti di modo di vivere di fronte ai quali, la polemichetta sull’uso della mascherina appare come un soffio passeggero.
La pandemia costringe gli amministratori a ripensare l’uso della città e primo fra tutti disegnare un nuovo modo di spostarsi pubblico e privato, sia per andare sui posti di lavoro che, soprattutto, per portare gli studenti a scuola, ammesso davvero che la fine della didattica a distanza sia un obiettivo sincero e non soltanto una boutade propagandistica, quelle a cui troppi pseudopolitici da spiaggia e da raduno in piazza ci hanno abituato.
Bus strapieni, treni pendolari da sardine, invasione di monopattini impongono scelte e investimenti coraggiosi. Così come la necessità di ripensare il centro città con l’individuazione di nuove e serie pedonalizzazioni, non idee a metà che alla fine non sono né carne , né pesce.
Sarà necessario un confronto costante con i quartieri/municipi, con i commercianti vittime della prima fase della pandemia, con i titolari di bar e ristoranti per capire come le esigenze dei cittadini possano adeguarsi ai servizi offerti. Discorso che va allargato a tutto il mondo del lavoro.
Sarà strategico il disegno delle aree pubbliche, dei giardini dove ormai siamo abituati a vivere più tempi delle nostre giornate, dei dehors che sono fioriti in una città che non li ha mai amati e, fortunatamente ora li ha scoperti. Dei luoghi per i giovani e i bambini.
Ripensare, infine, alle periferie, alla vita o “non vita” dei ragazzi in queste aree al limite delle città, che dopo un’epoca di rilancio, quando Renzo Piano raccomandava, troppo inascoltato, la necessità di una immensa “operazione di rammendo”, sono state in buona parte dimenticate. Colpevoli tutti anche noi cronisti che dobbiamo raccontare tutti i giorni la città. Ce ne ricordiamo quando succede qualche cosa di tragico. La tragedia del ponte Morandi ha fatto “riscoprire” Certosa con tutti i suoi nodi aggrovigliati di degrado, ma soprattutto di abbandono.
Lo hanno detto spietatamente bene i giovani intervistati da Primocanale al Cep di Pra'. La brutta sensazione di essere “distanti” e di sentirsi abbandonati in tutto, dai luoghi dove tentare di incontrarsi a quelli dove cercare di lavorare. Il ripensamento di una città è soprattutto questo. Giusto l’abbattimento della Diga di Begato dopo anni di parole vuote, ingombro osceno così macroscopicamente evidente, ma ci sono decine di altre “dighe” che soffocano quello che esiste e sopravvive intorno alla città.
Le amministrazioni locali saranno chiamate a questa prova tutt’altro che facile, che coinvolge la politica per le scelte, ma un vasto panorama di professionisti e esperti per i progetti. Tutto questo nel pieno di una complicata campagna elettorale, nella quale la politica è obbligata a un totale rinnovamento di metodo e di contenuti, ma anche a un cambiamento assoluto di linguaggio, se vuole sopravvivere ai virus. La sfida è interessante, speriamo che crescano nei diversi schieramenti i personaggi capaci di affrontarla.
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cronaca
La città-periferia da ripensare e i personaggi da far crescere
La vita con la pandemia, i cambiamenti obbligati e la campagna elettorale
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