Genova inebria nel bene e nel male. Entusiasma con le sue contraddizioni o annoia con i suoi silenzi. Dipende dai punti di vista
Forse è banale ma romantico, il rumore del mare si mescola ormai con quello dei gabbiani , diventati grossi tacchini muniti di ali, padroni del cielo genovese, stabili su tetti dei palazzi senza differenze sociali e catastali. La Genova con l’”anima universale” del “Gabbiano” e del dottor Dorn è una città animale: uccelli soprattutto, piccioni, merli e pappagalli coloratissimi. Qualche raro gatto a ricordare Paul Valery.
La città non ha bisogno di zoo, è uno zoo nei suoi radi parchi urbani, nei giardini delle Ville patrizie, sul mare.
Il vento, tornato padrone, urla la sua presenza tentando di offuscare il gracchiare di questi ingombranti pennuti che nessuno osa disturbare.
Genova è animale e ama gli animali, così nel suo stemma ne ha messi due, arcigni e mostruosi, due grifoni metà aquila e metà leone, con orecchie di cavallo e un tempo le code ben ritte poi umiliate e abbassate in un gesto di resa e finalmente ripristinate.
E il vescovo Siro nel 1347 schiacciò col piede la testa di gallo di un basilisco che gli stava mangiando il pastorale. Il mostro viveva annidato in un pozzo e terrorizzava gli abitanti. Altro che ratti a battere i caruggi.
Prima che arrivasse l’Acquario con numeri da record, i turisti erano i benestanti frequentatori del Gran Tour ottocentesco o i letterati e gli artisti. Di Genova ebbero opinioni contrastanti.
Tutti scendevano in centro da via Balbi. E anche noi, con le nostre telecamere del “Racconto di Genova” prossimamente su Primocanale, lo facciamo, vestendo i panni di Stendhal o Montesquieu. “Via Balbi una delle più belle strade del mondo” diceva Stendhal. Montesquieu al contrario trovava Genova “detéstable”, sosteneva che i genovesi non sono affatto socievoli e che invitare qualcuno a pranzo a Genova è una cosa inaudita.
“Addio Genova detestabile,
Addio soggiorno di Pluto.
Se il ciel m’è favorevole
Non ti rivedrò mai più.
Addio borghesi e nobili
Che avete per sola virtù
Un’inutile ricchezza:
non vi tornerò mai più”
Scoprì via Balbi anche Adolf Eichman , principe dell’orrore nazista, ospite nella pensione San Carlo, al 9. Scrive Pippo Marcenaro: “Stava percorrendo il caminito dei topi una ideale corsia per criminali in fuga dall’Europa con destinazione Sud America. Eravamo tra il 1949 e il 1951 quando Genova è nodo salvifico dei nazisti come Klaus Barbie, il dottor Mengele, Erich Priebcke”. Ha rivelato molto su questo argomento Andrea Casazza, giornalista del ”Secolo XIX” nei suoi libri-inchiesta sulla fuga dei nazisti e sul ruolo della Chiesa genovese.
Ci fermiamo dunque proprio in salita Santa Brigida, sotto l’arco. Qui alle 13,38 dell’8 giugno 1976 il procuratore generale di Genova, Francesco Coco, fu ucciso dalle Brigate Rosse insieme agli uomini della sua scorta, Giovanni Saponara e Antioco Deiana. Riguardo le vecchie foto dei quotidiani. Ricordo quel giorno. Ero un cronista al “Lavoro”, entrato da poco nell’indimenticabile redazione di salita Di Negro, affrescata da Oscar Saccorotti. Fu il primo omicidio compiuto dalle Br in Italia e da allora iniziò una scia di sangue che sconvolse l’intero Paese.
Ma questa è un’altra storia. Quella degli anni di piombo . Una storia di cui Genova è stata tragica protagonista e vittima. Molte strade della città sono state teatro degli attentati che scorrevano come dolorosi rosari. Una storia che è stata raccontata ancora troppo poco. Lo ha fatto bene Donatella Alfonso, giornalista di Repubblica. Soprattutto rileggendo l’oscuro e complicato periodo dei Gap e dei cosiddetti Tupamaros della Valbisagno. Ma arriveremo anche lì con il nostro racconto filmato.
Attraversiamo via Balbi: in vico Sant’Antonio abitò Carlo Goldoni e qui trovò moglie e si sposò a San Sisto in via Pré. E a differenza di Montesquieu, quando ormai ultracinquantenne dopo un soggiorno dai parenti della moglie i Goldoni dovettero ripartire, scrisse: “Passammo otto giorni allegrissimi nella patria di mia moglie, ma le lacrime e i singhiozzi non finivan più al momento della partenza; la separazione era tanto più dolorosa in quanto i parenti disperavano di rivederci. Promettevo di ritornare in capo a due anni; non ci credevano. Finalmente, tra addii, abbracci, pianti e grida ci imbarcammo sulla feluca del corriere di Francia, e facemmo vela per Antibes, costeggiando quella che gli italiani chiamano riviera di Genova”.
Arriviamo, dunque, in piazza del Carmine, davanti alla chiesa da cui fu esiliato don Andrea Gallo e partendo da questa deliziosa piazzetta con il mercato, sperimentiamo la Genova che sale e che scende, a piedi o in ascensore, in funicolare o utilizzando aeree passerelle.
“Genova ha un suo fascino. Fa salire e scendere , poiché è fatta così, in un precipitare continuo , ora verso l’altro, ora verso il basso, con un alternarsi incessante e improvviso, come se il paesaggio fosse costruito a trabocchetti.” Osserva ancoraMarcenaro.
Affanniamoci su queste creuse ripide, rileggendo “Genova che scende e che sale”, il bel libro di Giampiero Orselli con le immagini suggestive di Patrizia Traverso. In piazzetta dell’Olivella c’é una piccola chiesa sconsacrata. Nel monastero ci stavano le monache dell’ordine cistercense, poi le canonichesse lateranensi chiamate rocchettine, infine la congregazione di San Raffaele e santa Dorotea, cacciata da un terribile incendio che distrusse quasi tutto. Sul muro un laico messaggio: “Meno ostie e più pensioni”.
Salita Carbonara è la lunga spina dorsale che unisce il Carmine a Castelletto.
Volete entrare in un angolo di paradiso. Eccolo. Vico della Giuggiola e la piazzetta, con il fantasma dell’antica Osteria due stelle del medioevo. Una ventaglio di colori che da angolo popolare è diventato un rifugio snob.
Intorno vico del Cioccolatte, vico della Fragola e vico della Zucchero. Anche l’operatore scafato stacca l’occhio dalla telecamera estasiato.
Sono tutte le strade che portano in mare anche se partono da lontano, dall’alto, dalla montagna che sembra schiacciare la città .
In corso Carbonara la funicolare esce dal tunnel. E noi seguiamo l’invito di Giorgio Caproni a “infunicolarsi”.
La vettura dalla Zecca sale sottoterra, poi al sole, poi tra le case e il verde, fino a portarci al Righi. Salita e discesa, su e giù.
Rileggiamo i versi su Genova che Edoardo Sanguineti scrisse da Lisbona in una divertente sfida che aveva accettato controvoglia: scrivere al volo qualche verso sulla sua città.
“Guardala qui questa città. La mia
E’ in riva al Tejo che io cerco Campetto
Nel Barrio Alto ho trovato Castelletto
O un Cable car su in vico Zaccaria
Vedilo, il mondo: in Genova è raccolto
A replicarne un po’ la psiche e il volto”.
(4-continua)
IL COMMENTO
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