Il sequestro in Libia, il 19 luglio 2015, di quattro tecnici della Bonatti sfociato, il 2 marzo successivo, nella morte di due di loro, Salvatore Failla e Fausto Piano, poteva essere evitato se fossero state adottate idonee misure di sicurezza da parte dell'azienda. Di ciò è convinta la procura di Roma che ha chiuso l'inchiesta nei confronti di sei indagati, tutti della società parmense che costruisce impianti oil&gas.
Cooperazione colposa nel delitto doloso il reato contestato dal pm Sergio Colaiocco. L'avviso di chiusura indagine, atto che anticipa la richiesta di rinvio a giudizio, è stato notificato al presidente della Bonatti Paolo Ghirelli, a tre componenti il consiglio di amministrazione, ed al responsabile dell'azienda per la Libia Dennis Morson. Indagata la stessa Bonatti in base alla legge sulla responsabilità degli enti.
Secondo la procura i vertici della Bonatti ed il loro rappresentante in Libia avrebbero omesso di adottare tutte le cautele necessarie per evitare che i loro tecnici impegnati nel paese nordafricano fossero esposti alle attenzioni delle bande criminali locali. I quattro dipendenti furono sequestrati durante il loro trasferimento a Mellitah, zona interna della Libia in cui ci sono cantieri Eni e dove operano i dipendenti della Bonatti.
Contrariamente a quanto successo per altri spostamenti, quello del luglio 2015 avvenne su auto con autista e non via nave dall'isola di Djerba, in Tunisia, secondo quanto previsto dai protocolli depositati presso la Farnesina. Agli indagati si contesta di aver sottovalutato i rischi della situazione in Libia, malgrado la stessa Farnesina avesse suggerito alle aziende italiane di lasciare il paese (l'ambasciata era stata chiusa) o di elevare al massimo le misure di sicurezza.
"Un atto dovuto. Non ho mai fatto mistero delle responsabilità che a mio parere la ditta ha avuto rispetto all'omissione delle misure di sicurezza. A cominciare dal cambio improvviso di tragitto, mentre ci stavamo recando in Libia. Un fatto inspiegato, che ci aveva colto di sorpresa". Commenta così Gino Pollicardo la notizia dell'avviso di chiusura dell'inchiesta da parte della Procura di Roma con il rinvio a giudizio di sei componenti della Bonatti, azienda che si occupa di costruzioni di impianti per petrolio e gas nel paese del nord Africa.
Pollicardo è uno dei quattro dipendenti della società Bonatti di Parma rapiti nel luglio del 2015 durante un trasferimento di lavoro a Mellitah. "L'unica cosa che mi dispiace - aggiunge il tecnico di Monterosso - è che la responsabilità cadrà solo sulla Bonatti, mentre ritengo che ci siano altre responsabilità istituzionali per i giorni di sequestro che abbiamo dovuto passare. Noi sappiamo benissimo che erano in corso delle trattative tra quelle bande criminali e il nostro Paese".
Nel caso in cui fosse celebrato un processo, Pollicardo conferma che insisterà su questo punto. "Purtroppo nessun processo - conclude - ci restituirà i nostri due colleghi, i giorni persi e la dignità umana che hanno cercato di strapparci in quei 8 mesi".
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Italiani rapiti in Libia, 6 a rischio processo: "La Bonatti ha omesso le cautele dovute"
Ma Pollicardo: "Non ci restituiranno i nostri colleghi"
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