L’indimenticabile trenino di Casella è ripartito. Ha lasciato la stazioncina svizzera sopra piazza Manin, protetta dalle bifore e dai merli del castello Mackenzie, ha sfiorato i caseggiati-torrione di via Burlando, arrancando tra i prati di San Pantaleo, Sant’Antonino poi su fino a Creto, Torrazza, Pino, Sardorella, Vicomorasso, Niusci: tre valli, dal Bisagno al Polcevera fino all’attraversamento del ponte sullo Scrivia.
La Liguria riparte da qui, ha detto il governatore Toti. Bene, è un bel segnale. Qualche cosa del passato, di un incantevole passato fatto di orti ben curati, boschi puliti dai contadini, casette custodite, ville genovesi in ordine, osterie generose e trattorie di cibi genuini, chiesette affettuose, lapidi di partigiani e quadri della Madonna.
Un gran bel segnale che ci rende felici. Possiamo finalmente dimenticare l’inqualificabile abbandono in cui era stato lasciato, le vecchie vetture ferme sopra piazza Manin, preda di vandali che le avevano ridotte con scritte e disegnacci come i muri delle strade di Genova e i palazzi antichi appena restaurati. Schifo e basta.
Il trenino deve essere il segno di una Liguria diversa, attenta alle belle storie del passato, civile nel tenersi pulita fuori ma anche dentro, senza corruzioni, tradimenti, inciuci, cambi opportunistici di casacca, ambientalista nel puntare parte del suo futuro sull’ambiente, mare e collina, spiagge e boschi, turistica laddove il turismo non è arruffato ingorgo ma scelta culturale. Insomma, l’opposto di oggi.
Se deve essere il trenino di Casella con i suoi quasi novant’anni il modello di ripresa, ben venga. Speriamo e vogliamo credere che sarà un modello applicato per dare a Genova un trasporto meno inquinante e più europeo (il ritorno dei tram), una raccolta dei rifiuti intelligente con biodigestore e isole ecologiche dove portare i materassi e le pentole invece che abbandonarle a fianco ai cassonetti, un controllo severo sui chi porta i cani a fare la cacca sui marciapiedi o getta nei vicoli le bottigliette di birra vuote.
Ma anche il modello di una Liguria che ha deciso di uscire dall’isolamento: con la Gronda che snodi le code a ponente e dirotti i tir, un treno sicuro e pulito per il Nord e uno anche per ritornare a discutere faccia a faccia con Roma, non opere faraoniche e dunque irrealizzabili, ma scelte veloci e realistiche. Il governatore toscano Enrico Rossi a Primocanale lancia il corridoio tirrenico, rimandando al mittente l’idea concreta di utilizzare tratte ferroviarie toscane per accorciare le distanze con la capitale. Una doccia fredda alla quale Giovanni Toti dovrà rispondere e sulla quale i politici liguri, tutti, compresi i due silenti ministri, dovranno fare massa critica.
Una città dove si ripensa al futuro, cominciando dall’Università, dalle imprese rimaste, dal porto di tutti, dalle realtà (e fortunatamente ci sono) che funzionano e cercano spazio e ossigeno, da una generazione di giovani molto europei e poco litigiosi e egoisti ai quali va dato potere reale e non per finta. Potrebbe essere proprio la politica locale a cominciare a offrire un buon esempio. Magari dal consiglio comunale di Tursi, dove ci sono gli inutili Tromboni Perenni, tenaci occupatori di scranni, ma anche trentenni e quarantenni freschi di testa.
Altrimenti la bella storia del trenino che passa tra le ginestre di Sant’Antonino e i funghi di Creto resterà solo un simbolo. Bello, questo sì, ma nient’altro.
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Come un trenino-simbolo può rilanciare una nuova Liguria
Ora si può dimenticare l’inqualificabile abbandono in cui era stato lasciato
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