Sabato mattina scorso, ore 07, stazione di Imperia Porto Maurizio. Mi si avvicina un giovane, che poi scoprirò lavorare su uno dei mega yacht ormeggiati nel nuovo porto turistico: "Devo andare a Grosseto, l'Intercity è esaurito e non mi hanno fatto il biglietto neppure per stare in piedi. Compro il suo, a qualsiasi prezzo!". Purtroppo per lui, non avevo alcunché da vendergli, trovandomi lì in attesa di un familiare. "Cavolo, che sfortuna. Vabbè, io salgo lo stesso, spero di trovare un capotreno comprensivo".
Lunedì pomeriggio, Autostrada dei Fiori, direzione Genova e città del Nord: ci sono quaranta, dicasi quaranta, chilometri di coda. Chi ha raggiunto la Riviera per il lungo ponte del XXV Aprile ha portato il suo obolo al turismo ligure, ma ora paga dazio. Il rientro diventa un'odissea.
Queste due situazioni sono significative di quello che con fortunata metafora viene chiamato isolamento della Liguria. Metafora? Realtà, vivida e drammatica al tempo stesso. Al primo vero test di bella stagione, la Liguria è risprofondata nel baratro di una situazione che si trascina da anni e alla quale ancora neanche si ipotizza di porre rimedio.
Poche settimane fa, il trittico Liguria-Piemonte-Lombardia ha affrontato anche questo, fra i tanti problemi comuni. I tre governatori - Toti, Chiamparino e Maroni - concordano che così non si può andare avanti, che le grandi opere, stradali e ferroviarie, non possono più attendere. E dal vertice è uscita una forte sollecitazione al governo, senza l'ausilio del quale nulla si può fare.
Poi, però, il parlamentare ligure Maurizio Rossi ha scritto loro, e pure al competente ministro dei Trasporti Graziano Delrio, sollevando un'obiezione persino banale: "Va tutto bene, ma intanto che si realizzano i grandi investimenti non si può restare fermi. Interventi che migliorano la situazione sono possibili e vanno fatti". Dubito che Rossi abbia preso carta e penna dopo aver concordato la complicità di migliaia di villeggianti arrivati anche da Piemonte e Lombardia. E messisi in coda con l'auto, o pronti a ululare nelle stazioni ferroviarie, solo per dargli ragione. Semplicemente conosce la questione e l'ha sollevata una volta di più.
È vero che chi si muove in macchina lo fa a proprio rischio di interminabili incolonnamenti autostradali, ma è anche vero che non è per nulla incentivato a mollare le quattro ruote per puntare sullo sferragliare del treno. Al netto di confortevolezza discutibile e pulizia quasi sconosciuta, i convogli sono pochi, spesso mal cadenzati, con un numero di carrozze che si potrebbe aumentare per maggiorare la capienza, senza che ce ne sia uno che faccia partenza e arrivo senza fermate intermedie.
Sarebbero solo accorgimenti di minima, in qualche caso utili pure nei giorni feriali per favorire gli spostamenti lavorativi dei pendolari (un diretto Genova-Milano e ritorno è così impossibile?), ma risulterebbe molto concreto l'aiuto a rendere più vivibili gli spostamenti per ragioni di vacanza. I quali, è bene convincersene definitivamente, non sono una concessione al superfluo, bensì un volano determinante per la nostra malconcia crescita economica.
Non è una considerazione filosofica, lo dicono i numeri. In Italia il turismo vale circa 170 miliardi di euro, incide per quasi il 10,5 per cento nella formazione del Prodotto interno lordo, dà lavoro a quasi 2 milioni e 700.000 persone e copre l'11,6 per cento dell'intera occupazione nazionale. In questo contesto, la Liguria da sola mette insieme oltre 7 miliardi di Pil.
La cifra potrebbe facilmente lievitare se i collegamenti (anche quelli aerei, affidati a un aeroporto genovese sempre meno competitivo) fossero adeguati. E questo basta a dimostrare che la battaglia contro l'isolamento della Liguria non è un problema di campanile, ma una questione maledettamente seria a livello nazionale. Caro primo ministro Matteo Renzi, do you understand?
cronaca
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