Anche senza metterci della malizia, qualcuno potrebbe pensare che magari la festa sindacale del Primo Maggio si terrà a Genova solo perché questa è la città di Anna Maria Furlan, segretario nazionale della Cisl. In realtà, la scelta fatta anche da Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo, leader rispettivamente di Cgil e Uil, ha un grande valore simbolico.
Nonostante la grave crisi di rappresentatività che la "triplice" sta vivendo da alcuni anni, Genova è ancora il luogo dove il sindacato vive una sua ragion d'essere. Quando lo ritiene necessario, riesce a portare in piazza centinaia di persone e si trova a gestire criticità quali il futuro dell'Ilva, piuttosto che di Piaggio Aero e di Selex (Finmeccanica) con dinamiche spesso migliori che nel resto del Paese. Pur dovendo fronteggiare analoghe emergenze, quali la disoccupazione giovanile, fra le più alte d'Italia, e una "questione anziani" ancor più pesante, posto che la città e la regione di cui è capoluogo sono le più vecchie d'Europa.
Ci sono dunque molte e diverse ragioni a spingere Cgil, Cisl e Uil verso Genova. E sebbene questo sia destinato a rimanere il non detto della scelta, c'è anche un motivo politico: all'ombra della Lanterna, non ha sfondato e non sfonda il renzismo duro e puro che fra i suoi bersagli preferiti ha proprio il sindacato. Sia nelle sue declinazioni negative, e ce ne sono come gli stessi interessati riconoscono, sia per la malcelata volontà del premier e segretario del Pd di rimuovere qualsiasi ostacolo possa mettersi di traverso alla sua conquista di un potere debordante. E i sindacati vanno certo catalogati tra i "gufi", nella classificazione che Renzi fa dei suoi interlocutori.
La storia di Genova, le pagine che in città sono state scritte dal sindacalismo italiano (per tutti basti il sacrificio di Guido Rossa, trucidato dalle Br) e i problemi che fanno della Superba la metafora della crisi economica irrisolta impongono però un Primo Maggio che non riproduca una ritualità fine a se stessa.
Sarebbe bello, ad esempio, se Cgil, Cisl e Uil cogliessero l'occasione per presentare una qualche loro autoriforma per rendersi più autorevoli agli occhi di chi al sindacato guarda come ultimo baluardo nella difesa dei diritti non solo dei lavoratori. Oppure se da Genova lanciassero la ricetta per mettere davvero in mora un governo che finora si è mostrato molto più attento alle esigenze delle imprese (per carità, ce n'era anche bisogno) piuttosto che a quelle dei comuni cittadini.
Sarebbe bello anche che la Cgil deponesse la profonda divisione con la Cisl sull'atteggiamento nei confronti del governo: l'eccesso di vocazione al no della prima, infatti, spesso ha fatto passare per accondiscendenza la linea dialogante della seconda. Un errore tattico e strategico. Perché se è vero che quando serve bisogna avere la forza di rispedire al mittente certe pretese, è anche vero che non tutto può essere irricevibile. Pena la perdita di credibilità, requisito reso più difficile dal fatto che sull'altro versante c'è un formidabile manovratore della comunicazione. Capace di far apparire per vero anche ciò che non lo è.
Il contesto in cui il sindacato si muove, dunque, era e resta complicato. Come complicati sono i giorni che vive Genova. Ma proprio per questo motivo il prossimo Primo Maggio non deve diventare il momento in cui si uniscono due debolezze, ma un'occasione di ripartenza. Del movimento sindacale italiano e di una città dalla quale non di rado è stata indicata la via maestra per il Paese. Tutti consapevoli che nessuno ha la bacchetta magica, ma che certe magie sono ancora possibili.
politica
Lavoro, Genova città simbolo delle nuove sfide sindacali
La scelta di celebrare il Primo Maggio nel capoluogo ligure
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