Bisogna uscire dai tecnicismi per capire meglio l'intervento con cui la Banca centrale europea (Bce) ha provocato il sostanziale raddoppio del passivo (dai 44,6 milioni comunicati lo scorso febbraio ai 101,7 licenziati dal consiglio) sul bilancio al 31 dicembre 2015 di Banca Carige.
Nella lettera in cui l'istituzione guidata da Mario Draghi chiede la presentazione di un nuovo piano industriale entro il prossimo 31 maggio, infatti, si fa esplicito riferimento al "deterioramento dell'attuale scenario rispetto alle previsioni". Questo non riguarda Carige in se', bensì il contesto nel quale essa si muove, a cominciare dalla crescita economica del Paese.
Questo significa che le previsioni più ottimistiche formulate in diverse sedi, compreso Palazzo Chigi, o provenienti da studi della più svariata origine, a Francoforte non sono ritenute credibili. O, quantomeno, non vengono considerate uno degli strumenti sul quale poggiare l'indicazione delle performance che Carige si è prefissata di raggiungere nel breve e medio termine.
Se l'Italia non avrà, al contrario di quanto stimato, determinati livelli di crescita, come già il consuntivo del Pil 2015 dice (e in più mettiamoci il rischio deflazione), si pone un problema di scenario che Carige, come le altre banche destinatarie dell'intervento Bce, deve rendere più prudenziale. Ancorandosi, quindi, alla vera situazione dei fatti.
Le nuove, ulteriori prescrizioni della Bce, inoltre, mettono in evidenza anche il diverso modo di agire della vigilanza europea rispetto a quella storica delle banche centrali nazionali. Se queste ultime facevano leva sulla "moral suasion" e tendevano a correzioni che gli istituti di credito dovevano compiere come fossero iniziative proprie, affidando poi la verifica a ispezioni periodiche, Francoforte si muove con un piglio dirigistico: fai questo o intervengo. La vigilanza, quindi, avviene in tempo reale e le banche devono operare di conseguenza, senza alcun margine di rinvio.
Questo si traduce in una tutela molto più solida dei risparmiatori e, per intenderci, casi come quelli di Etruria e le tre "sorelle" non si sarebbero potuti verificare se anche per gli istituti non sottoposti alla vigilanza europea venisse applicato lo stesso modello.
A tutto ciò, ovviamente, va poi aggiunto lo specifico di Carige. Se non sarà un problema varare entro il 31 marzo un altro "funding plan", per una migliore gestione della liquidità, (la banca ha una disponibilità di oltre 2 miliardi e quindi un cosiddetto liquidity coverage ratio superiore al 100%, quindi ben oltre il 90 richiesto dalla stessa Bce), altro discorso è redigere un piano industriale nel quale tenere conto oltre che dello scenario esterno deteriorato, anche di elementi quale, ad esempio, il posizionamento commerciale, che nell'ultimo periodo ha sofferto. Come lo stesso documento di bilancio certifica.
Il piano industriale sarà il primo cimento al quale saranno chiamati i vertici che usciranno dall'assemblea di fine mese, quella destinata a incoronare il presidente Giuseppe Tesauro e l'amministratore delegato Guido Bastianini. Quest'ultimo ha una ferrea competenza proprio nel cosiddetto "private", termine che indica una forte attenzione ai servizi offerti alla clientela. Di solito sono clienti "privilegiati", a Bastianini il compito di estenderli all'intera platea "retail" di Carige. Se ci riuscirà, sarà un successo. E in fondo, il principale azionista Vittorio Malacalza proprio per questo lo ha scelto.
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Commerciale e "fattore Italia", ecco perché Carige paga pegno
Dietro l'intervento Bce, che chiede un nuovo piano industriale
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