E' tutto cominciato, oppure finito, nel 1964 quando da Genova sparì l'ultimo tram, precisamente dalla galleria della Certosa. Chi l'avrebbe detto che togliere le rotaie era un errore madornale e rinunciare per sempre al tramway, che in genovese si diceva tramvai, era un errore imperdonabile, che poi poi lo si sarebbe ripetuto, salvo ripensarci, quando cancellarono i filobus?
Errori epocali, nella prospettiva dell'inquinamento e del traffico, che sarebbe esploso in un delirio di gas venefici, nei ruggenti anni Sessanta e Settanta, quando si diceva che la città viaggiava verso il milione di abitanti e intanto viaggiava verso il boom automobilistico. Ma quali tram - pensarono i nostri strateghi del traffico, all' epoca di quel boom automobilistico - quando in quattro e quattr'otto si costruivano la Sopraelevata e la Pedemontana?
Il bus con il filo e poi senza e il Celere, come si chiamava quello che viaggiava ancora più rapido, si impossessavano delle linee dell' Uite, che stava diventando la municipalizzata AMT. Forse tutti i mali sono proprio cominciati, proprio quando l'ultimo tram è sparito e l'Amt è diventata la mamma del trasporto pubblico genovese, della sua massima potenza, poi del suo declino e poi del suo crescente, inarrestabile deficit.
I tram erano silenziosi, scampanellavano solo, non inquinavano e erano frequenti e puntuali, coprivano la città e li si aspettava, come si aspetta un amico. Li avessero lasciati con le loro belle rotaie, saremmo come una piccola San Francisco e avremmo tram come il leggendario “28” di Lisbona, che sale e scende per i colli lusitani e da solo vale come una super promozione turistica.
Avessimo un tram 28 genovese, che sale al Righi da Manin e scende a Oregina, lo venderemmo in tutto il mondo, invece abbiamo il bus 36 che sbuffa per via Assarotti e ancora grazie. Quando levarono le rotaie dalla galleria della Certosa non poterono sostituire l'ultimo tram con un bus, perchè era troppo stretta e poi, qualche decennio dopo, quel tunnel divenne il primo pezzo della metropolitana.
La chiamavamo per scherzo, sui giornali dell'epoca, “metropolitana cucù”, perchè entrava e usciva dalla galleria, faceva poca altra strada e poi rientrava. Proprio come l'uccellino che sbuca dall'orologio e fa cucù per ritmare le ore. Trenta anni dopo e sette sindaci dopo (li elenchiamo per precisione cronistica: Campart, Merlo, Burlando, Sansa, Pericu, Vincenzi, Doria), quel metrò misura poco più di sette chilometri.....un chilometro a sindaco! Non è cresciuto poi tanto quel cucù, che è riuscito a collegare poco più delle due stazione di Brignole e Principe.
Eppure gli strateghi del traffico cittadino, che pensavano a Genova e al suo trasporto pubblico, negli anni “buoni”, avrebbero avuto nella metropolitana la soluzione più facile, con tutte le gallerie che ci sono e con quelle due vallate di Polcevera e Bisagno, perpendicolari alla costa, per togliere Genova dal suo isolamento interno.
Invece il Metrò cucù è diventato metrò lumaca e ora, per consolarci dal disastro del pubblico trasporto di linee tagliate, di bilanci ko, fantastichiamo con le ovovie, le seggiovie, le cabinovie a Erzelli e in Valbisagno, perfino le funivie dal Porto Antico a Forte Begato... Ridateci qualche rotaia, copiate non solo Lisbona e San Francisco, che quelle sono cartoline, ma Roma e Nizza, dove i tram jumbo non sono un desiderio, ma la realtà.
politica
Il tram chiamato desiderio e la metropolitana cucù
Errori epocali, nella prospettiva dell'inquinamento e del traffico
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