Nel primo semestre dello scorso anno, in Liguria circa 25.000 lavoratori hanno firmato un contratto a tempo indeterminato. È il 40% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. E il trend è proseguito anche fra giugno e dicembre 2015. Numeri alla mano, il Jobs Act è un successo. Perché anche nel resto d'Italia le cose sono andate allo stesso modo, persino un po' meglio.
Attenzione, però, all'illusione ottica. Di quei 25.000 contratti, infatti, solo 1.500 sono figli di vere nuove assunzioni. Tutto il resto risulta dalla trasformazione di rapporti già esistenti e regolati dalle più svariate forme di precariato. La loro stabilizzazione deriva dal combinato disposto di tre elementi: sgravi fiscali di 8.000 euro all'anno per ogni lavoratore, azzeramento dei contributi previdenziali e sostituzione del vecchio Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori con la formula delle "tutele crescenti". Il Jobs Act, appunto.
Che qualcosa sia meglio di niente non c'è dubbio e in tal senso la riforma voluta dal premier Matteo Renzi da' una risposta non irrilevante. Ma la riga, come dicevano i ragionieri di una volta, andrà tirata alla fine del triennio. Se l'esaurimento degli aiuti fiscali e previdenziali non si tradurrà in una grandinata di licenziamenti, perché non esiste più la tutela dell'Articolo 18, allora il Jobs Act si rivelerà un'ottima riforma. Altrimenti sarà stato solo un palliativo, buono per sbandierare certi numeri - com'è già avvenuto - a fini di consenso elettorale.
Sia chiaro, consentire a un lavoratore di dimostrare la propria capacità agli occhi di un imprenditore è un'occasione che di fatto non esisteva (almeno non nei numeri attuali) e allo stesso tempo consentire a una piccola azienda di scollinare la fatidica soglia dei 15 dipendenti senza incappare nella tagliola dell'Articolo 18 evita storture come quella di imprese che rifiutavano gli ordinativi per non aumentare un organico che poi sarebbe rimasto immutabile e a zavorrare la spesa fissa.
Ma riconosciuto ciò, resta la verità che per superare la strettoia di un'emergenza occupazionale ancora fortemente presente e percepita c'è una sola via maestra: far ripartire la crescita economica, a cominciare dai consumi interni. Ancora troppo deboli per dare una decisa spinta al Pil.
Poi, certo, ci sono dei fattori collaterali che possono aiutare. E fra questi, oltre agli sgravi fiscali e previdenziali, anche quell'alternanza scuola-lavoro che favorisce il rendez vous fra giovani e imprese, andando incontro alla fame di occupazione dei primi e alle esigenze operative delle seconde.
Qualcosa si muove, dunque. Ma non è un caso che neppure lo stesso Renzi, al di là di qualche sparata propagandistica, abbia il coraggio di dire che l'Italia ha risolto il problema del lavoro. Quello dei disoccupati, soprattutto giovani, è un esercito troppo grande per essere nascosto.
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Più contratti di lavoro fissi, ma pochi i veri posti nuovi
Fra le pieghe del Jobs Act: Liguria come il resto d'Italia
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