La Commissione europea, nel suo recente Rapporto sullo stato di attuazione delle riforme, bacchetta nuovamente l'Italia.
Fra i profili contestati emergono i servizi pubblici locali: scarsa liberalizzazione, mercati inesistenti, prezzi troppo alti per gli utenti.
Nulla di nuovo, verrebbe da dire: i tentativi di riforma dei servizi pubblici locali sono praticamente stagionali. Però nessun ripensamento organico è mai stato completato e, soprattutto, attuato.
Ma c'è un altro profilo che colpisce. Si tratta, in realtà, di un "non detto" della Commissione: a quali servizi si riferisce?
Di norma, nella nozione, si fanno rientrare i più comuni servizi cittadini a rete, dai bus alla distribuzione del gas. E' però giunto il momento di includere nell'elenco anche il servizio televisivo o -sarebbe meglio dire- il servizio di informazione ai cittadini.
L'attuale quadro normativo prevede in realtà un servizio pubblico televisivo regionale, quale appendice del servizio nazionale. Entrambi sono attualmente affidati alla RAI. Sono di attualità le polemiche sui costi (altissimi) e sulla qualità (non sempre all'altezza) di tali servizi. Con riferimento all'informazione locale, ad esempio, basti pensare a quanto appare arretrato un contratto di servizio che si incentra su un telegiornale regionale serale, oggi che l'informazione viaggia su altri canali (senza costi per i cittadini) in tempo reale e ventiquattro ore al giorno.
Le bacchettate della Commissione europea, dunque, devono essere uno stimolo a riflettere anche sul servizio pubblico televisivo. Questo, anche se definito 'regionale' è, in realtà, un servizio anzitutto locale, non diversamente da un autobus o da una farmacia comunale.
Se, dunque, occorre aprire i mercati alla concorrenza, come può essere possibile 'dimenticarsi' di quello televisivo? La crisi economica, le nuove consapevolezze sistemiche, gli esempi comparati e lo sviluppo delle tecnologie consentono -ormai- di immaginare un nuovo modello di servizio locale di informazione, che superi il modello ormai antiquato di un unico erogatore, di fatto scelto 'ex lege', per arrivare a forme competitive che potrebbero portare con sé un miglioramento qualitativo dell'offerta ed una riduzione dei costi.
Perché, dunque, non immaginare che il servizio pubblico di informazione -almeno a livello locale- possa essere erogato da soggetti privati, ovviamente debitamente regolati e controllati, come le emittenti televisive locali?
La data di scadenza del contratto di servizio tra Stato e RAI si avvicina. Sarebbe opportuno porre il tema all'ordine del giorno.
Lorenzo Cuocolo - professore di diritto comparato Università Bocconi, Milano.
cronaca
Anche quello radiotelevisivo è un servizio pubblico locale
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