cronaca

Dentro il cantiere dello scolmatore
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Fuori ci sono almeno 35 gradi. Il mare è a pochi metri di distanza da questa spianata che nel giro di poche settimane si è trasformata da un circolo di pescatori a un cantiere che ha ripreso vita dopo 20 anni. La tentazione di buttarsi in acqua, sotto questo sole cocente, è forte. Se lo si fa presente al capocantiere lui sorride: "Siamo quasi tutti bergamaschi, il mare ci piace ma sappiamo resistere. E poi facciamo il lavoro più bello del mondo, non ci facciamo distrarre. Certo, a fine turno qualcuno un tuffo lo fa".

Il cantiere è quello dello scolmatore del Fereggiano
. Un'opera complessa, attesa, fondamentale per ridurre e forse azzerare il rischio di esondazione del torrente che il 4 novembre del 2011 uccise 6 persone. Raccogliere le acque di una piena e mandarle direttamente in mare, qui, in Corso Italia, significherà anche chiudere uno dei rubinetti che l'anno scorso hanno contribuito a far esondare il Bisagno.

Un'opera che negli anni '90 era iniziata, salvo poi interrompersi in seguito a un'inchiesta della magistratura. "All'epoca si spesero miliardi di euro. Ora riutilizziamo il lavoro fatto 20 anni fa, un modo per recuperare i soldi pubblici spesi allora", dice Gianni Crivello, assessore ai Lavori pubblici del Comune.

Già, perché all'epoca la talpa svizzera incaricata di creare il tunnel che avrebbe dovuto raccogliere le acque del torrente in caso di alluvione scavò 900 metri di roccia prima di fermarsi. Diciamolo subito: la leggenda che la vuole ancora lì, sepolta sotto decine di metri di roccia, è falsa. L'imponente macchinario venne rimosso pezzo per pezzo e rispedito in patria. Per togliersi ogni dubbio bisogna camminare per circa 10 minuti. La temperatura scende, sembra di stare dentro una cantina. "Oggi c'è addirittura la nebbia, non l'avevo mai vista", commenta un operaio.

Alla fine della galleria niente talpa, ma un muro verticale. Qui si fermò la scavatrice e con lei la speranza di mettere in sicurezza Via Fereggiano. Sopra la testa ci sono circa 60 metri di roccia. Sopra ancora, Villa Cambiaso, Albaro, e a pensarci fa un po' impressione. Da qui riprenderanno gli scavi, già da ottobre. "Non ci sarà una talpa, si scaverà in maniera tradizionale", ci spiega l'ingegner Stefano Pinaco, coordinatore delle opere di messa in sicurezza del Comune. Restano altri 2 chilometri e mezzo prima di arrivare al torrente, circa 3 anni. Si scaverà solo da una parte, perché a monte ci sarà un raccoglitore dell'acqua profondo 50 metri e sarebbe impossibile procedere da quella parte verso il mare.

Dal soffitto della galleria scendono delle stalattiti: sono l'orologio che segna il tempo del tempo perso, del cantiere rimasto fermo per 20 anni e della devastazione che non si è riusciti a evitare. Dai fori sulle pareti colano rivoli d'acqua, solo una minima frazione rispetto alle centinaia di migliaia di metri cubi che questa galleria di 4 metri di diametro dovrà gettare in mare affinché non portino di nuovo morte e distruzione nelle strade genovesi.

Il ritorno verso il sole sembra infinito, ma alla fine si torna alla luce. L'acqua però non la vedrà: il tunnel si abbasserà di altri 4 metri per finire direttamente sotto la superficie del mare. Sarà coperto da un giardino con le palme spostate per fare posto alle betoniere. Fine cantiere 2018, quando saranno passati quasi 30 anni dal primo tentativo, quando si spesero miliardi di euro per costruire una lunga cantina usata per accatastare i surf degli stabilimenti vicini. Ora quel tunnel è una nuova partenza.