Alla lunga la sfida l’ha vinta lo scooter di casa Piaggio, più popolare tra le nuove generazioni. Ma dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’70 la Vespa e la Lambretta hanno rappresentato due modi opposti di interpretare la vita. In un periodo in cui le ideologie avevano un peso specifico, comprare l’uno o l’altro mezzo equivaleva a mettere in vetrina passioni, status sociale, possibilità economiche. Perfino le simpatie politiche.
La Lambretta era il mezzo di trasporto preferito dagli operai per andare in fabbrica, la Vespa era e rimane il simbolo della ‘Dolce vita’ di felliniana memoria. La prima è finita (in Italia) nell’oblio al pari della lotta operaia, la seconda resta un’icona dei ‘bei tempi’. Due paesi diversi, due culture allora profondamente diverse che si mischiavano all’estero dove lo scooter italiano era un cult della sottocultura giovanile.
Oggi possedere una Vespa o una Lambretta d’epoca, quest’ultima molto più rara, è un’esperienza unica che unisce anziché dividere. All’ammirazione di chi pensa a quello scooter come a un’opera d’arte seguono il pericolo, la frustrazione, il disagio e le spese per un mezzo da curare nei dettagli, lontano dagli standard di sicurezza e resistenza meccanica a cui siamo abituati nel nuovo millennio.
Il restyling in chiave moderna di entrambi i mezzi rappresenta la riproposizione di ‘stili di vita’ che possono apparire distanti dalle nuove generazioni. Molte delle ideologie che nell’Italia felice del boom economico separavano i ’vespisti’ dai ‘lambrettisti’ oggi sembrano superate o fuori tempo massimo.
Ma in fondo la politica e certi valori dimenticati andrebbero recuperati. Fra tutti, il diritto-dovere al voto che nell’Italia post bellica veniva vissuto come la più grande conquista sociale. Da difendere con i denti dai nemici della democrazia.
politica
Vespa o Lambretta, un cult dell'Italia operaia e quei valori da recuperare
Due modi opposti di interpretare la vita
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