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Comune sciolto per mafia, "conta non reato ma clima degrado"
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L'assoluzione dalle accuse di concorso esterno non salva l'ex sindaco di Ventimiglia, Gaetano Scullino, dall'incandidabilità per un turno elettorale, decretata con provvedimento definitivo a seguito dello scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose nel 2012.

Questo perché per comminare la misura interdittiva non conta l'accertamento del reato quanto la sua responsabilità nel clima di "degrado amministrativo" e di "cattiva gestione della cosa pubblica" dovuto all'inquinamento criminale, tale da richiedere l'intervento del governo. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione in sede civile, estendendo il provvedimento contemplato dal testo unico sugli Enti locali, anche ai soggetti non condannati in via definitiva.

La vicenda rientra nel processo denominato 'La svolta', sulle infiltrazioni della 'ndrangheta nel Ponente Ligure, che aveva portato tra l'altro allo scioglimento del Comune di Ventimiglia. La Corte d'Appello di Genova, nel procedimento attivato per impulso del Viminale, aveva decretato la incandidabilità per il successivo turno elettorale delle amministrative dell'ex primo cittadino. Poi questi era stato assolto dal tribunale di Genova, nell'ambito dell'inchiesta condotta dal procura antimafia dal reato di concorso esterno.

Secondo le Sezioni Unite (sentenza n.1747) non solo il procedimento giurisdizionale volto alla dichiarazione di incandidabilità "è autonomo rispetto a quello penale", ma tale "misura interdittiva non richiede che la condotta dell'amministratore integri gli estremi dell'illecito penale di partecipazione ad associazione mafiosa o di concorso esterno nella stessa: perché scatti l'incandidabilità alle elezioni rileva la responsabilità dell'amministratore nel grave stato di degrado amministrativo causa di scioglimento del consiglio comunale, e quindi è sufficiente che sussista, per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali". Ed è questo - scrivono i giudici - che nel caso di Ventimiglia la Corte d'Appello ha accertato.

I giudici sottolineano che l'incandidabilità è "un rimedio di extrema ratio" volta a salvaguardare "beni primari della collettività nazionale" messi in pericolo "non solo dalla collusione" ma anche dal "condizionamento" subito dagli amministratori, "non fronteggiabile con altri apparati preventivi o sanzionatori dell'ordinamento".