In questi giorni le molte parole forti che circolano sui media destinate a chi, come me, parteciperà al Family day del 30 gennaio prossimo mi invitano ad interrogarmi come donna, moglie, madre e avvocato impegnata nell’associazionismo familiare, sulle ragioni della mia adesione: non mi sento né omofoba, né fascista, né tanto meno, come è stato anche detto, “terrorista” e spero di saper spiegare civilmente le mie convinzioni.
Credo sia irrinunciabile, in un paese civile, il dibattito pluralista su tematiche che hanno profondi risvolti etici, sociologici e culturali, quindi voglio difendere la mia e l’altrui libertà di pensiero ed opinione: la manifestazione pacifica di piazza, come ci hanno dimostrato nella nostra città di Genova gli operai dell’Ilva in questi giorni, è un modo civile e democratico di chiedere attenzione alla politica distratta rispetto ai veri problemi del Paese.
Andrò a Roma perché, operando nel diritto di famiglia, constato ogni giorno come la nostra civiltà occidentale sia diventata così egoista da non capire che se non riparte dall’accoglienza dei più deboli, e in questo caso dal rispetto dei bambini (prima e dopo la nascita, come dicono i documenti internazionali), è destinata a ripiegarsi su se stessa ed estinguersi, come accaduto a tante altre civiltà in passate epoche storiche.
Parteciperò al Family Day 2016 perché rispetto l’identità e le scelte di tutti, ma credo che il diritto non sia al servizio delle mode e delle tendenze culturali della maggioranza parlamentare e debba invece rispondere ad una vocazione universale: una legge davvero giusta che abbia ad oggetto ciò che è autenticamente umano dovrebbe essere percepita come tale in ogni epoca della storia dell’umanità, oggi lo sappiamo e non possiamo più ignorarlo.
Sarò al Circo Massimo perché avrei voluto che sui diritti delle formazioni sociali diverse dal matrimonio tra un uomo e una donna il dibattito muovesse dai diritti rivendicati e dalla effettiva uguaglianza, caso per caso, delle situazioni, anziché da una prepotente omologazione a priori di realtà per molti aspetti obiettivamente diverse, che richiedono soluzioni diverse proprio a fini di uguaglianza e giustizia sostanziale.
Andrò a Roma perché credo che sia anche affar mio se, grazie al disegno di legge Cirinna, sarà socialmente accettata una prassi oggi illecita in Italia e in quasi tutto il mondo, che priva per legge alcuni bambini di un padre o di una madre e del diritto alle origini, aprendo la strada ad una nuova schiavitù delle donne destinate a soddisfare il diritto al figlio di coppie etero ed omosessuali. Non vedo alcun progresso nell’affermazione di diritti dei forti che prevaricano i diritti dei deboli.
Sabato prossimo non resterò a casa al riparo delle mie certezze familiari, perché le questioni in gioco sulla famiglia, la genitorialità e l’identità umana non sono riservate a me o al culto cattolico, ma sono universali e non si vive solo per se stessi e i propri desideri: proprio l’Italia, che non è affatto il fanalino di coda dell’Europa, può dare il buon esempio dimostrando che le scelte legislative devono rispettare e far convivere i diritti di tutti, stando sempre dalla parte dei più deboli e guardando con rispetto a ciò che nessuna legge può creare: l’identità umana.
E ciò per evitare che una dittatura di un sentire che si autodefinisce maggioritario in questo e in altri campi si sostituisca alla democrazia e all'espressione di quello che ritengo sia l'autentico sentire del nostro Paese e della nostra gente.
*Anna Maria Panfili - avvocato Diritto di famiglia
cultura
Vado al Family day perché…
Dibattito sulle unioni civili e sul ddl Cirinnà
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