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Fra le tante accuse mosse contro Giovanni Toti da peones e caporali di giornata di Forza Italia, oltre ai soliti immarcescibili colonnelli di Arcore, una colpisce molto. Recita così: "Toti parla e parla e parla, ma non dice niente". Ora, se una cosa invece non si può contestare al governatore ligure ormai in procinto di lasciare il suo (ex) partito è proprio quella di non dire cose concrete e di dirle con molta chiarezza.


Se appena si vuole essere intellettualmente onesti, inoltre, Toti dice cose precisamente di centrodestra, come faceva agli albori della sua esperienza politica un certo Silvio Berlusconi. Lo conoscono i reduci forzisti? Certo che lo conoscono e conoscono quanto va affermando Toti: buste paga più pesanti per i lavoratori dipendenti, aiuti alle imprese, politiche per il lavoro legate alla formazione professionale (quindi reddito di cittadinanza radicalmente modificato), spinta all'edilizia privata, codice degli appalti sterilizzato per favorire gli investimenti, apertura dei cantieri per le grandi opere.

Non ci aggiunge, il governatore ligure, le questioni legate alla giustizia, se non nella parte legata alle riforme necessarie per attirare investimenti stranieri. Il tutto condito con l'obiettivo dichiarato di spingere l'economia, che poi è l'obiettivo-declinazione del nome del suo movimento, Italia in crescita.
Se i forzisti superstiti non si fanno obnubilare dall'antagonismo verso Toti, devono ammettere che il programma del governatore ligure somiglia molto, moltissimo, a quello che fu di Berlusconi nella prima ora della discesa in campo.

La differenza? Il Cavaliere ha centrato praticamente tutte le diagnosi sulle necessità del Paese, ma poi ha bellamente fatto gli affari suoi. Toti non va, non può andare, molto distante dalla cartella clinica sulle condizioni dell'Italia, ma quelle cose promette di farle avendo, almeno fino ad oggi, la credibilità che gli deriva dall'esperienza amministrativa. Perché nello svolgere il suo compito di presidente della Regione Liguria gli impegni li ha in gran parte rispettati. Poi si possono non condividere e criticare, si può essere in totale disaccordo, come fanno le opposizioni regionali, ma questo è un altro discorso.

A ben vedere, dunque, il vero patrimonio di Toti nel lanciarsi nella nuova avventura è esattamente quella credibilità che non appartiene ai vecchi notabili di Forza Italia. Qualcuno di costoro spiega al governatore che in Liguria il partito è sotto la pur modesta media nazionale. Vero. Ma anche qui la memoria appare corta. La sua azione è stata talmente vuota che persino i suoi non se ne saranno accorti, ma in Liguria c'è un coordinatore di nome Sandro Biasotti che, davvero lui, prima parlava senza dire, e adesso non parla affatto, in quanto silenziato dal vertice del partito. Al posto dei forzisti, casomai, ci sarebbe da domandarsi che cosa sarebbe Forza Italia in Liguria se non ci fosse stato Toti.

Questo, però, è ormai un esercizio ozioso. Il governatore ligure insiste nel chiedere una rivoluzione in Forza Italia, selezionando la classe dirigente con metodi diversi dalla cooptazione del passato. Una cosa che ai colonnelli di Arcore fa una paura tremenda, perché la gran parte di loro non resisterebbe alla prova. Ma tant'è. Siccome non è affatto probabile che Berlusconi voglia infine convertirsi alle ragioni del cambiamento, Toti si appresta a intraprendere una strada tutta sua, che tuttavia molti in Italia annunciano di voler condividere.

È l'altro patrimonio del governatore. Non dovrà dissipare nulla, Toti. Le attese su di lui sono e saranno molte e non dubito che i consensi arriveranno anche copiosi. Ricordi, tuttavia, che nessuno sarà disposto a fargli il minimo sconto.