politica

L'editoriale
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La nuova assemblea ha levato l’ancora la scorsa settimana, ma la decima legislatura regionale ligure prende il largo oggi, dopo che il neogovernatore Giovanni Toti ieri ha varato la giunta. Rispetto alle attese non ci sono grandi sorprese. Da giorni, ormai, i nomi erano quelli e da lì non s’è scappato. Due le considerazioni principali. La prima: non ci sono assessori tecnici, sebbene il presidente abbia a lungo accarezzato l’idea di affidare Sanità e Bilancio ad altrettanti non eletti esperti del ramo. Alla fine ha desistito: un po’ perché sarebbe stato difficile soddisfare gli appetiti di “rappresentanza” dei partiti, un po’ perché da tempo, anche a livello nazionale, la politica rivendica un diritto di supremazia sui così detti tecnici, che in effetti più di qualche disastro lo hanno combinato, soprattutto a livello nazionale.

La suddivisione delle deleghe così come viene presentata è dunque una piena assunzione di responsabilità da parte delle forze che compongono la maggioranza. In sé non è una brutta cosa: i partiti e i loro esponenti ci metteranno direttamente la faccia. Se ci tengono, come dovrebbero tenerci, anche se siamo abituati a certe terribili cadute di stile e dignità, possiamo almeno sperare che ne esca qualcosa di accettabile, se non di buono.

La seconda considerazione riguarda la delega al Bilancio, che Toti – anche qui in piena sintonia con le anticipazioni – trattiene per sé. Si tratta di un passaggio che il nuovo governatore di fatto non spiega: “E’ una scelta che può durare anche cinque anni, ma vedremo”. Difesa dell’immediato, impossibile pensare che possa occuparsi, in un solo colpo, della presidenza della Regione, del Bilancio e del suo ruolo nazionale in Forza Italia. Ineluttabile, arriverà il momento delle scelte.

Peraltro, con la riduzione numerica dell’assemblea e della giunta, non c’è dubbio che tutti gli assessori avranno il loro bel daffare, con deleghe pesanti e che richiederanno, da parte di ognuno, non solo un impegno a tempo pieno, ma anche la capacità di scegliersi e schierare una squadra di dirigenti e burocrati regionali capaci di assecondarne il lavoro. Da questo punto di vista ogni cambio di colore della maggioranza porta con sé il timore che la burocrazia interna si metta di traverso. L’esperienza dice che le cose vanno diversamente, perché saltare sul carro del vincitore è esercizio sempre molto praticato in Italia.

E poi, questo si racconta nei corridoi di Piazza De Ferrari e via Fieschi, una mano a Toti l’ha paradossalmente data la sua principale avversaria, Raffaella Paita: “In Regione il personale s’è legato al dito il fatto che abbia scaricato sulla dirigente Gabriella Minervini la responsabilità della mancata allerta per l’alluvione del 9-10 ottobre scorsi”. Parole dal sen sfuggite, ma che la dicono lunga su come i burocrati regionali stiano già archiviando il decennio di gestione burlandiana.

Questo non significa che la navigazione della nuova giunta regionale troverà solo mare calmo. C’è l’incognita dei numeri, con una maggioranza davvero risicata – 16 contro 15 – e c’è il rebus di assessori che rimanendo anche consiglieri regionali rischiano di non riuscire a coniugare i due impegni. Non avendo il divino dono dell’ubiquità, rischieranno in più occasioni di non garantire la maggioranza soprattutto nelle Commissioni e questo si rivelerà un grosso problema. Per cui è solo questione di tempo e il tema delle dimissioni degli assessori dal consiglio tornerà a farsi prepotentemente avanti.

Il centrodestra, insomma, si accinge a gestire la Regione camminando sul filo del rasoio, con una navigazione che potremmo definire a vista ma che, di per sé, non esclude la possibilità di porre subito mano a questioni cruciali. Anzi, la prima fase sarà sì la più delicata, com’è ovvio in queste circostanze, ma anche quella che darà il segno del possibile cambiamento. Ci sono promesse elettorali che Toti deve onorare (cito a memoria, tagli fino all’azzeramento delle liste d’attesa per gli esamini clinici e la riduzione della tassazione sulle imprese) e che avranno un costo reale, quindi imponendo una gestione del bilancio (e ci risiamo…) che richiedeà, prevedibilmente, anche scelte impopolari. Se ci sarà il coraggio di farle, e di farle bene, l’avvio della legislatura è sempre il momento migliore, perché nell’arco del mandato questo consente anche di incassare il dividendo del consenso, quando si dimostrerà che le cose funzionano e che i sacrifici imposti avevano un senso.

Qui, però, Toti e la sua squadra si aspettino il tiro alzo zero delle opposizioni, in particolare del Pd. Uscito a pezzi della tornata elettorale e con alle viste una stagione di lacerazioni alle quali sarà un commissario a dover tentare di porre rimedio, in questa fase l’unico elemento di coesione che il Partito democratico troverà sarà proprio quello di mettersi di traverso all’amministrazione regionale.

Se il nuovo governatore avrà un problema di numeri, tuttavia, il Pd avrà un problema di leadership della minoranza. Fin dalla campagna elettorale, il Movimento 5 Stelle ha detto chiaro e tondo di “ritenere la governabilità un valore”. Parole e musica di Alice Salvatore. Che aggiunge: “Nessun pregiudizio, li misureremo sui contenuti e quando le decisioni saranno buone le voteremo”. E non basta. Proprio a Primocanale, alla domanda sul perché i pentastellati avessero chiesto la vicepresidenza dell’assemblea regionale a Toti, anziché provare a concordarla con i dem, la risposta della Salvatore è stata tranciante: “Con questo Pd non si può parlare”. Auguri a tutti. Soprattutto ai liguri.