porti e logistica

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La sua scrivania è un florilegio di carte, mappe, lettere. La finestra dell’ufficio, elegante quanto basta per essere all’altezza del suo ruolo ma sobrio al punto giusto per ospitare un genovese, affaccia sulle navi in banchina e sui moli, stipati di container, in pila uno sull’altro con le loro livree colorate.

Roberto Spinelli, amministratore delegato del gruppo fondato dal padre Aldo, qui è a suo agio: “Guarda i container – mi dice come per convincermi – la gente pensa che siano solo montagne immobili e ingombranti. E invece sono fondamentali per la nostra economia, per l’attività del porto. Noi da qui esportiamo, i container si imbarcano verso le loro destinazioni carichi di merci che fanno la ricchezza del nostro Paese: se non avessimo i depositi dove stocchiamo quelli vuoti, luoghi in cui li laviamo e li ripariamo, ben presto non sapremmo cosa fare”.
Eppure, visti così, tutti diversi eppure tutti uguali, i container ci sembrano solo un impiccio: “Non è così – mi rintuzza – sai qual è la giacenza media di un container? Quattro giorni. Ogni quattro giorni quella montagna cambia aspetto”.

E l’intervista, che di per sé è uno scoop, visto che Roberto Spinelli non ne rilascia mai, non poteva che partire da qui, dall’area di stoccaggio dei container vuoti situata in prossimità dell’Ilva: “Siamo stati messi li dopo avere liberato Erzelli, zona in cui l'amministrazione aveva pianificato di insediare il parco tecnologico e dove avevamo 20mila container. Avevamo iniziato a gestire l’area sulla collina a partire dagli anni ottanta, con una serie di acquisizioni realizzate nel corso del tempo; poi è arrivata la scelta di trasferirci nell’area dell’Ilva, in una zona di soli 40mila metri quadrati”. Un’inezia, di fronte ai 128mila che erano stati prospettati.

Si dice che noi avremmo avuto paura di affrontare una gara per l’assegnazione di quell’area il che è assurdo – spiega Spinelli – al tempo eravamo gli unici a occuparci di riparazione di container, con ottanta addetti non avremmo avuto nessun rivale capace di scavalcarci in quella acquisizione. Per di più il bando avrebbe dovuto assegnare un’area grande il triplo rispetto alla nostra, non capisco cosa avremmo dovuto temere”.

Da quel trasferimento sono nati i problemi: “Grane giudiziarie, come sempre in questi casi. Un competitor ci accusa di non avere superato una gara pubblica e deciderà un giudice. Oltre al discorso già fatto sulla gara, aggiungo che noi abbiamo comunque un contratto d’affitto valido e questo va tenuto in considerazione e lo abbiamo esibito e difeso anche in tribunale”.

Per lo sviluppo della sua azienda Spinelli pensa però anche ad altre aree: le conosce a menadito e me le mostra facendole scorrere sul satellite. Quella più importante, e appetita, è posta sotto la Lanterna, nell’area un tempo occupata dalla centrale dell’Enel: “Quell’area è dismessa da un anno e mezzo, lasciare così una zona tanto pregiata del porto è un peccato. Noi abbiamo un progetto serio, compatibile con l’ambiente, al quale si contrappone un’altra ipotesi che in quella zona non potrà mai trovare compimento”. Roberto Spinelli non lo dice apertamente ma parla dell’idea di trasferire i depositi costieri di Multedo in quel punto: “Tutte le norme possibili e immaginabili contrastano la proposta di insediare dei prodotti chimici pericolosi in quel sito, così vicino alle case e a un passo da seicento lavoratori, senza contare che si trova proprio sul cono aereo, con gli aeroplani che sorvolano le banchine per atterrare sulla pista del Colombo. Si sta perdendo solo tempo”.

E il tempo, Spinelli lo sa bene, non è solo denaro ma anche occasioni che se passano non tornano più.

Alla fine dell’intervista Roberto Spinelli trova anche il tempo di scherzare sul suo Genoa, raccontandomi di quella volta che convinse Aldo (con l’aiuto di mamma) a non vendere Skuhravy: “Non fu una grande idea, lo riconosco, ma al cuore non si comanda”.

Ci alziamo e arriva Aldo: “Hai rilasciato un’intervista? Domani nevica”!
Oggi c’era il sole.