Cronaca

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Come stupirci se in questa società i maestri, e con questo termine intendo tutti gli insegnanti in quanto educatori, sono poco considerati e poco rispettati? In una società in cui prevale il mito dei soldi , dell’immagine, del successo a qualunque costo, l’insegnante , che svolge un lavoro “nascosto”di formazione personale dei propri alunni, con effetti osservabili su tempi lunghi, che spazio può avere? Come si può pensare che allievi e giovani genitori, se non sono più che consapevoli della necessità che i propri figli si preparino ad affrontare il futuro con un solido bagaglio culturale, si possano sottrarre alle “sirene mediatiche” di successi ottenuti senza sforzi e spesso puramente casuali (vedi il gioco dei pacchi in TV)?


Nonostante tutto, sono comunque numerosi gli insegnanti autorevoli e stimati che, con il proprio lavoro , hanno finora permesso alla scuola italiana di andare avanti ed anche di realizzare percorsi di eccellenza sia dal punto di vista culturale che da quello dell’integrazione sociale, che lavorano in strutture spesso fatiscenti, ben diverse dai lucenti luoghi dell’attrazione mediatica. Ma tutto questo avviene, come si suol dire, a “macchia di leopardo”e solo per l’impegno del singolo o di piccoli gruppi, che non vengono né valutati, né valorizzati,
Per migliorare la scuola nel suo complesso è necessario restituire il valore sociale che compete a chi svolge questo ruolo, sempre più importante in una società basata sulla conoscenza, qual è la nostra, puntando sulla formazione “a tappeto”degli insegnanti , invece di lasciarla alla sensibilità e responsabilità del singolo, prevedendo un corrispettivo economico adeguato alle responsabilità formative- culturali degli educatori, capace di attrarre il personale migliore e realizzando ambienti di studio più ospitali.


Non è un caso che la scuola sia costituita soprattutto da donne: questa femminilizzazione, che pone l’educazione, sia in famiglia, sia nella società in mano ad un solo genere, impoverisce la formazione dei giovani , ed evidenzia come il nostro paese non ritenga realmente decisivo nè prioritario l’investimento nel nostro percorso formativo.
Eppure l’Europa, già nel 2000, definendo gli obiettivi di Lisbona, quali la diminuzione della dispersione scolastica, l’aumento di diplomati e laureati, puntava a diventare l’ “economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Il nostro paese è ancora indietro rispetto al raggiungimento di questi obiettivi: se non si cambierà rotta, il futuro del paese ed il percorso lavorativo dei nostri giovani continuerà ad essere incerto.