politica

Genova non ha più espresso una classe dirigente
3 minuti e 12 secondi di lettura
Gli ospiti che, magari prima di partecipare a una trasmissione televisiva, osservano Genova dall'alto degli studi di Primocanale, pronunciano inesorabilmente una frase che mi provoca una rabbia terribile. Dicono tutti: "Che città meravigliosa!".

Gli sguardi ondeggiano dalle colline e dai forti napoleonici al torrione del Carlo Felice, sorvolano il centro storico fermandosi su San Lorenzo, il Gesù e il Ducale per scendere tra la fitta maglia dei carruggi fino al porto antico e al sorprendente bigo di Renzo Piano. Poi si perdono nel mare, nel susseguirsi dei cantieri e delle gru, per finire il viaggio di fronte alla sagoma inconfondibile del monte di Portofino.

"Che città meravigliosa!". Ma aggiungono anche qualcosa di sconfortante e lapidario: "Peccato che così straordinariamente bella non riesca a riprendersi". E io ho la sensazione che abbiano già deciso che Genova bellissima non debba assolutamente più riprendersi, per agonizzare e restare in questo limbo stagnante chissà per quanto tempo. Perduta come una donna fatale e morente.

Genova ha sicuramente uomini e donne capaci
, quelli che ogni tanto, scappano e ritroviamo a Milano o all'estero a fare successo. Genova non ha lo spirito della collaborazione e del sacrificio. Chi per fortune economiche per lo più ereditate, chi per capacità manageriali, dovrebbe assumere il comando della città e progettare, preferisce starsene zitto, conservare, tentando di sfruttare piccole occasioni, affaretti genovesissimi, i tuchecosamidaiincambio, che non danno alcuna prospettiva alla città. Altri fanno gli affari oltre i Giovi dichiarando come alibi che "a Genova non si può più fare nulla perché è tutta colpa dei politici e della politica".

In parte è così. Genova non ha più espresso da quasi un decennio una nuova classe dirigente, né politica, né imprenditoriale e nemmeno nelle professioni. Ma i giovani professionisti o fuggono o stanno a Genova lavorando per iniziative non genovesi. Sono gli imprenditori che, a parte qualche caso di grande visione, di audace internazionalizzazione, non hanno più voglia di pensare al futuro di Genova. E questo è triste e non basta la giustificazione che "la politica latita" per giustificarli.

Perché alcuni imprenditori "arrivati" non restituiscono parte delle fortune alla città, magari attraverso un impegno civile? È davvero impensabile, verificato che la classe politica è modesta o del tutto impreparata a guidare una comunità?  E perché dagli imprenditori, con un sussulto di orgoglio, non parte una idea di città nuova, contemporanea, un mix di innovazione e storia, commercio e cultura, che porti alla costruzione di un Patto per Genova? Un accordo, anche a tempo, che offra idee, prospettive e, perché no, speranze?

Non tutti i giovani sono scappati. Ci sono anche giovani coraggiosi (non bamboccioni) che restano, magari perché non hanno ricchi papà che li spediscono nei centri economici e finanziari a far scuola. C'è almeno una parte di buona generazione che ha frequentato una buona Università, che c'era e aveva grandi maestri. Sfruttiamoli. Sfruttateli. Non metteteli all'angolo delle decisioni. Date loro le chances di cambiare Genova. Imprenditori lungimiranti e giovani preparati insieme, alleati.

E a questo Patto vengano chiamati i politici seri. Ci sono, tentano anche di muoversi, ma spesso vengono annullati da giochi interni che stentano a scomparire. È in arrivo il 29 il premier Matteo Renzi. A Milano il presidente del consiglio ha firmato un "patto" per la città lombarda. Perché non proporgli un "patto" anche per la città portuale più importante d'Italia? Non mi pare un sacrilegio. Facciamolo presentare ai giovani che stanno qui. Chi ha voglia lo dica apertamente e non nascondiamoci più dietro quelle insopportabili frasi fatte, di rassegnazione e di comoda apartheid.