cronaca

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 Ogni possibile “simpatia” nei confronti del brigatismo rosso, ogni possibile condiscendenza quella mattina di quarant’anni fa, fu cancellata. Quando nelle redazioni dei giornali si diffuse la notizia (era mattino presto) che Guido Rossa era stato assassinato, non ci fu molto da capire, né da interpretare. Tutti sapevano chi era Rossa, che cosa aveva fatto denunciando un suo compagno che diffondeva all’Italsider le risoluzioni strategiche delle Br.


Il partito comunista di Enrico Berlinguer sancì il rifiuto assoluto verso ogni “benevolenza” nei confronti dei terroristi, le Brigate rosse, verso chi anche nelle fabbriche, fiancheggiava i brigatisti.
Guido Rossa era accasciato crivellato di colpi nella sua macchina, a poche centinaia di metri dalla sua abitazione. Probabilmente non doveva essere ucciso ma gambizzato, oppure legato e messo alla gogna. Invece quella mattina qualcuno del commando decise che la sentenza nei confronti del coraggioso sindacalista doveva essere di morte.


Un anno dopo, nel marzo del 1980, in un appartamento a poche centinaia di metri dal luogo dove Rossa cadde, nei pressi della sua casa, avvenne l’irruzione degli uomini del generale Dalla Chiesa nel covo brigatista di via Fracchia dove viveva in clandestinità la feroce colonna Br genovese e tutti furono annientati.
In un quadrato di città di poche centinaia di metri avvenne, forse, la svolta che porterà alla disintegrazione del brigatismo e al tramonto dei cosiddetti “anni di piombo” che torturarono Genova forse anche più di altre città italiane.


Le duecentocinquantamila persone che riempirono piazza De Ferrari il giorno dei funerali di Rossa furono la dimostrazione che per le Br non c’era più niente da fare.