politica

3 minuti e 3 secondi di lettura

Che cosa é la "responsabilità"? Il dizionario Devoto-Oli scrive che é "la consapevolezza di un impegno assunto o di un comportamento, in quanto importa e sottintende l'accettazione di ogni conseguenza specialmente dal punto di vista della azione morale e giuridica".

E' sufficiente a dimostrare che anche la responsabilità politica ricade in questa chiara definizione e che "le conseguenze" fanno parte del carico che questa "assunzione di impegni" si porta dietro.

Si può, così, essere responsabili magari non di un fatto specifico (un crollo, un incidente, l'alluvione) ma di un insieme di (mancati) fatti. Si é sicuramente responsabili delle "scelte politiche" o, ahimé dell' "assenza di scelte".

Se tutte le volte che accade un evento spiacevole, drammatico o tragico, la politica o quel poco che di vera politica rimane, scarica tutto sui tecnici mi chiedo che cosa ci sta a fare. A quel punto sarebbe più ragionevole vivere senza politica affidando il governo delle cose e dei fatti ai tecnici. Anche perché i tecnici, almeno, si possono mandare via se hanno commesso degli errori. I politici meno.

La frase "me ne assumo tutte le responsabilità" é scomparsa dal vocabolario della politica italiana, sostituita da "Io non c'entro, sono i tecnici che..."

Se la politica, dunque, decide di non assumersi più responsabilità "politiche" accade che queste se le debbano caricare altri. Per esempio i magistrati. Ma non è giusto, perché allora dovremmo affidare ai giudici il governo delle cose e dei fatti.

Insomma, la confusione é generale e cresce se in questo nebuloso panorama si aggiunge la confusione dei ruoli o per dirla in modo terra terra, "dei mestieri". A Milano c'é un magnifico proverbio che recita: "Ogni ofelee fa el so mestee" . Cioé: ogni pasticcere fa il suo lavoro e non quello di altri.

I politici devono fare la politica, i tecnici applicare le tecniche, i magistrati far rispettare i diritti e la Chiesa curare le anime.

Tutti i media hanno dato grande rilievo all'intervento, sorprendente, dell'arcivescovo di Genova sul caso Paita-giudici. In particolare su alcune parole del cardinale (in parte, ieri, corrette): "Provo grande dolore e dispiacere. Chissà perché certe indagini esplodono in certe ore e in certi momenti delle città e della Nazione".

Esplodono proprio perché non esistono più le responsabilità legate ai ruoli. E' sempre colpa di qualcun altro, meglio se gerarchicamente sottoposto così é più semplice toglierlo di torno.

Provare dolore e dispiacere é umano e cristiano.

Ma, conclude l'arcivescovo: "Avviare queste notizie, a prescindere dalla verità o meno, comunque deprime un po' il morale di tutti. Disincentiva il senso di appartenenza e partecipazione e questo é un male profondo a cui bisogna reagire".

Con tutto il rispetto per il cardinale temo che la depressione dei genovesi non dipenda dai "sospetti" o dall'avvio delle indagini della magistratura, ma da quello che é stato fatto prima delle indagini, delle inchieste e degli avvisi di garanzia. I genovesi, in particolare, sono depressi al limite della più cupa e nefasta rassegnazione per i danni causati in questi ultimi anni, dalle scelte o non scelte della politica (o sarà ancora colpa dei geometri?) che hanno devastato il territorio, sfiancato l'impresa, sfasciato la sanità pubblica, reso la Liguria una piccola e povera "terra marginale" sempre di più ai confini dell' Impero.

Altro che magistrati a orologeria!

Ogni ofelè al fa el so mestè. Anche in Curia.