cultura

Da 6 anni cappellano di un carcere di massima sicurezza in Messico
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Occhi vispi che ti guardano da dietro gli occhiali ma soprattutto un sorriso vero, sincero, contagioso che scalda e illumina. Questo è padre Mario Picech. Un friulano alto che dal viso trasmette dolcezza, umanità, umiltà. Dal 2011 è cappellano del carcere federale di massima sicurezza di Islas Marias in Messico e quando parla di loro, dei detenuti, tutti narcotrafficanti, vedi nei suoi occhi i loro volti. Quasi si commuove quando ricorda come alcuni di loro tutti i giorni lo convertono.

Lo incontro a Genova dove ha tenuto due incontri per raccontare la sua storia ma soprattutto quella di questi uomini. Mi guarda e mi chiede più volte "Ma sei sicura che la mia esperienza possa servire, possa interessare?". Lui vive Islas Marias come la sua quotidiniatà, i detenuti sono i suoi 'concittadini' così semplicemente e l'umiltà, la timidezza forse lo spingono a chiedermi ancora "Sei sicura?". Poi inizia a raccontare e non si fermerebbe più.

Islas Marias è una realtà difficile, è un falso paradiso immerso nell'oceano Pacifico padre Mario non vuole passi il messaggio che è tutto bello e facile ma nonostante tutto lì in quel carcere ci sono e ci possono essere delle sorprese, c'è "il bene che tanti carcerati cercano e che accomuna tutti".

"La cosa più importante che ha imparato? Non giudicare e così ho trovato negli occhi degli altri il fratello. Le persone che incontro hanno commesso delitti gravi ma contemporaneamente scopro ogni giorno la loro umanità".

Descrive alcune zone del carcere, quelle di isolamento, paragonandole a "un campo di concentramento", raccontando l'appello che viene fatto ogni 4 ore anche di notte e nei suoi occhi vedi quella lunga fila di uomini in coda per l'identificazione. Ma il carcere può trasformare, convertire l'uomo. Ne è convinto padre Mario che racconta di come lui e gli altri due padri gesuiti siano accettati dai detenuti solo perchè "viviamo come loro, insieme a loro l'isolamento. Diventiamo dei confidenti, delle persone a cui raccontarsi e raccontare".

Quando è arrivato sull'isola c'erano ottomila detenuti, ora circa duemila. In mezzo una rivolta con dei morti e poi una nuova idea di carcere che la nuova direttrice sta portando avanti: "Sull'isola è arrivato un pianoforte a coda, i detenuti fanno lezione di musica e anche teatro". Nonostante questo "la situazione è comunque difficile, ma cerchiamo di andare avanti: per esempio la direttrice del carcere ora ci ha dato una casa sulla spiaggia dove facciamo dei ritiri, e ora vogliono venirci praticamente tutti, sai perché? Perché l'ultimo giorno danno il permesso di fare il bagno". Lo racconta sorridendo, un sorriso vero e sincero che contagia.

Quando lo saluto cappello di lana calato sulla fronte, zaino in spalla, giacca a vento rossa da montagna, sorriso contagioso penso ai suoi detenuti che lo aspettano sull'Islas Marias, penso a quell'uomo che in isolamento dentro una torre in una zona circondata da filo spinato lo ha chiamato e gli ha chiesto "Padre, dimmi il nome di due persone del tuo paese a te care, voglio pregare per loro e lo farò tutti i giorni", penso a questo 'regalo' come lo definisce padre Mario. "Un riconoscimento per essere lì con lui, per l'attenzione, per condividere l'isolamento, per sentirsi utile perchè in isolamento non puoi far altro che pregare".

Ed è così l'amore, il bene si può incontrare nei posti più strani, anche in quelli dove apparentemente la speranza non c'è e invece proprio lì - come dice papa Francesco - incontri il vero uomo. I momenti di isolamento quelli più duri sono anche quelli più 'hermosi' come dice padre Mario quelli dove incontri te stesso, Dio e non puoi rimanere lo stesso. Certo non accade a tutti ma a chi succede e anche a chi ne è stato testimone cambia la vita.