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Serve un candidato che intercetti i veri bisogni
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Quasi cinque anni fa, il Trump in salsa genovese fu Marco Doria. Contro ogni pronostico, prima vinse le primarie del centrosinistra-Pd e poi venne incoronato sindaco. Seppe incarnare, come oggi ha fatto il nuovo presidente americano, da una parte l'insoddisfazione verso l'establishment (politici di lungo corso e partiti) e dall'altra la speranza di classi sociali, gli operai e il ceto medio, fra loro molto distanti ma accomunate dai guasti di una crisi economica devastante.

Quello scenario di grande attualità negli Stati Uniti non è così mutato a Genova. Tuttavia, guardando alle comunali del prossimo anno, sembra di poter dire che Doria non può più pensare-sperare di fare il Trump di casa nostra e grossi problemi mostrano di averli anche gli schieramenti che tenteranno di sostituirlo.

Sui mali del Pd è persino inutile soffermarsi ulteriormente, essendo arcinoti e ancora tutti lì sul tavolo. Può darsi che il referendum costituzionale del 4 dicembre porti, almeno a Genova a un qualche chiarimento di prospettiva, ma non c'è da giurarci. L'unica novità rischia di essere l'autocandidato Simone Regazzoni. Nasce come provocazione nei confronti del suo stesso partito, il Pd appunto, ma potrebbe rivelarsi uno "scherzo" alla Trump.

Prendiamo la storia dell'assessore alla notte tirata fuori da Regazzoni. Molti liquidano l'idea come una "cazzata" da filosofo, ma se si parla con i genovesi si apprende che sono stanchi e intimoriti di pensare alle ore piccole come a una fase della giornata totalmente in mano a vandali, delinquenti di ogni risma e via elencando. La "cazzata" di Regazzoni, cioè, intercetta un bisogno.

Un bisogno, anzi una condizione non sufficiente ma necessaria, è anche l'unità del centrodestra. L'esperienza ci dice che il corpo elettorale si è pronunciato sempre con chiarezza: se Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e annessi vanno insieme possono aspirare a vincere, altrimenti si compie il disastro. Dell'astensione, nella migliore delle ipotesi. Che poi significa vittoria degli altri.

Lo spettacolo offerto negli ultimi giorni dalle varie fazioni del centrodestra non va certo nella direzione che, in Liguria, ha portato prima al successo del governatore Giovanni Toti e poi a quello della sindaca di Savona Ilaria Caprioglio. Silvio Berlusconi traccheggia e Stefano Parisi liquida in modo sprezzante la Lega come "quella roba lì" con cui non vuole avere niente a che fare. Senza Lega, però, Forza Italia non vince. E viceversa. A meno che Berlusconi e Parisi un candidato l'abbiano già: Matteo Renzi a livello nazionale e un qualche figuro da mandare a sbattere a livello genovese.

Guardando l'insieme, ancora una volta chi potrebbe ringraziare è il Movimento 5 Stelle. Ha esultato per la vittoria di Trump e si è subito messo in scia. La situazione genovese continua ad avere molti punti di contatto con lo scenario statunitense, ma a dirla tutta ad oggi non si vede un candidato che possa impersonare il ruolo del tycoon repubblicano. E questo per i grillini potrebbe rivelarsi un ostacolo insormontabile.