cronaca

4 minuti e 43 secondi di lettura
Piange Nino: ha 83 anni e sua moglie ne ha 90. Nino piange, non tanto e non solo perché ha lasciato per sempre la sua casa, ma perché, con il solido orgoglio maschile che ancora lo contraddistingue, lui non potrà andare a recuperare le proprie cose in casa, via Porro. “Ci andrá mia moglie con mio nipote, e io non potrò aiutarli, perché vede, ho due bastoni, mi hanno operato diverse volte alle gambe, ho anche in taglio qua” e indica la pancia.


“A volte, quando sono con mia moglie, che é in gamba eh, non creda, mi scappa qualche lacrima che ho trattenuto a lungo. Ogni tanto non resisto e piango, anche se non vorrei, perché non voglio farmi vedere da lei, che è così coraggiosa e non piange mai di fronte a me”. Nino aveva messo da parte qualche soldo con la pensione “ma ora abbiamo investito tutto per comprarci una casa nuova, sa, non posso mica stare per sempre da mia figlia, ognuno vuole la sua libertà, invece ti trovi a bussare per andare al bagno...”. Nino non avrebbe mai pensato, a 83 anni, con una moglie, in gamba, di 90, di dover bussare al bagno di una casa non sua. “I rimborsi, gli indennizzi?

Certo ce li daranno, ma sa mica dirmi quando? Perché per ora abbiamo solo speso”. Salutiamo Nino. Arriva una signora con il marito: loro sono sorridenti, sia quando entrano che quando, due ore dopo, riemergono dagli scatoloni della loro casa. Si vede che sono ancora uniti e complici, che si stringono la mano e anche andar via per sempre da casa, così, può pesare meno. Lei mostra fiera il tronchetto della felicità che ha trovato “unica pianta viva tra tutte quelle che avevo”. Ci tiene a ringraziare i vigili del fuoco e tutti i volontari “che sono stati così gentili”. I camion carichi di scatoloni partono, e loro a piedi se ne vanno, con i loro sacchi che contengono le cose che servono subito. È un sorriso.


Altri così, altre storie che ci passano accanto in questo giorno surrrale in una fetta di città surreale che sembra appena esserci stato un armistizio e i checkpoint con l’esercito a presidiare. “I miei bimbi mi hanno chiesto le cartelle della scuola” racconta un altro sfollato che esce accompagnato da un amico che porta in mano una foto enorme, con tanto di cornice. Non parla bene l’italiano ma si capisce che lì ci sono i visi dei parenti lasciati nel paese natio, e rimasti per oltre due mesi appesi in una casa ormai deserta di via Porro.


C’è un anziano che “vado a ritirare solo i documenti in cantina, perché poi se fra qualche anno l’Agenzia delle entrate ti cerca qualcosa, almeno ho le prove che ho pagato” (saggezza antica, oggi non più di moda, di chi le tasse le ha pagate, alla faccia di chi è quasi orgoglioso di non averlo fatto e aspetta il condono fiscale...). “Io da qui me ne volevo già andare quindi non ho particolari problemi”. C’è uno sfollato che arriva a passo svelto con la chitarra appesa sulla schiena, chissà quanto gli è mancata qualche strimpellata (pardon) la sera con gli amici. C’è Pasquale che abita lì vicino ed è sceso a dare un’occhiata: “Io da qua non me ne andrò mai, anche se ci sarà un cantiere enorme, perché mio figlio ha dei problemi e non posso toglierlo dal mio ambiente”.


C’è Anna, che ha 84 anni e ci ha visti in diretta, e allora si é messa in ordine, un colpo di phone nei capelli ed é scesa in strada per chiederci se poteva leggere la poesia che ha scritto il 18 agosto, dopo che è crollato il ponte. Anna é una donna ancora molto fiera e preferisce appoggiare il bastone a un’auto per andare in onda “perché bisogna sempre tenersi sù, non lasciarsi andare”. Con la mano un po’ tremante legge, scrittura d’altri tempi, corsivo perfetto: “ Mia figlia quando è crollato il ponte mi ha telefonato e mi ha detto di prendere il Lexotan prima di guardare fuori dalla finestra. Perché io credevo fossero tuoni e invece...”. Grazie Anna, arrivederci.


C’è un signore pure lui anziano che ricorda come “dopo il crollo ho pianto un giorno intero, e non riuscivo neanche a parlare, ai parenti del Sud che mi chiamavano al telefono per sapere se andava tutto bene”.
Ci sono tante persone e tante vite, dietro via Porro e dintorni.
Ci sono anche tanti pompieri, che con delicatezza scandiscono, cronometro alla mano, il tempo delle ultime visite in casa “ci dicono ancora dieci minuti e noi facciamo ancora più veloce a riempire gli scatoloni”.
Ci sono i volontari, che tengono gli occhi bassi, per pudore, quando passano gli sfollati con valige e sacchi azzurri pieni di roba, fino a ieri al riparo da occhi sconosciuti, nei cassetti e nelle cantine.

Ci siamo poi noi giornalisti, che fermiamo, noi pure imbarazzati, chi passa. Intervistiamo, andiamo in diretta, spesso affondiamo il coltello nella piaga per suscitare emozioni. Ci prendiamo insulti, che personalmente reputo pure giusti. Ma spero che con delicatezza, qualche volta almeno, siamo stati in grado di raccontare a tutti qualcosa che non avrebbero mai visto e saputo.