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La sfida per la successione è solo presunta
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Né Parisi, né Toti. Ma... Berlusconi. Il tormentone dell'estate sulla sfida per conquistare la successione all'ex Cavaliere è in realtà una vicenda tutta presunta. In barba al dato anagrafico e a qualche acciacco portato proprio dall'incedere del tempo, infatti, niente, assolutamente niente, ci dice che Berlusconi abbia deciso di passare la mano.

È la stessa ultima mossa a dimostrarlo. Affidare a Stefano Parisi il compito di aggregatore del mondo moderato è una genialata con cui Berlusconi si tiene sempre al centro del ring. Contestualmente all'incarico assegnato al candidato sindaco di Milano, il leader di Forza Italia ha infatti rassicurato tutti i colonnelli: "Tranquilli, non vi farò brutti scherzi".

C'è da credergli. Con la furbizia di sempre, Berlusconi gioca su due tavoli: quello dell'alleanza con Lega e Fratelli d'Italia è presidiato dallo stesso Giovanni Toti e da personaggi quali Brunetta e Romani, mentre l'altro, i moderati esterni a Forza Italia, è tutto da imbandire. E appunto questo è il compito di Parisi.

Berlusconi si nutre di sondaggi e ha fatto la semplice osservazione che ormai il suo partito ha perso la spinta propulsiva del '94. Non fosse che lui continua a garantire un certo appeal, FI sarebbe probabilmente già ai minimi: diciamo intorno al 5-6 per cento. Dovendo riallargare il perimetro, non poteva certo mettersi nelle mani di chi, anche nel bene, ha una storia personale tutta legata agli Azzurri.

Il ragionamento è di stringente pragmatismo, tanto più se davvero si andrà a una revisione dell'Italicum, la legge elettorale, stabilendo che il premio di maggioranza toccherà non al partito che otterrà più voti, bensì alla coalizione vincente. E volete che Berlusconi, in questa ottica, si perda per la strada la Lega e Fratelli d'Italia? Via...

Per quanto Salvini e Giorgia Meloni possano risultargli indigesti (ma è poi così vero?), non si riesce proprio a immaginare un ex Cavaliere tanto autolesionista. Qualcuno dirà: e Roma, hai visto Roma? Certo, ma lì non si trattava di vincere, si trattava di far perdere la Meloni. E la missione è perfettamente riuscita.

La netta sensazione, dunque, è che Berlusconi stia solo facendo il gioco delle tre carte, preparando la scacchiera per una rivincita politica sullo stesso Matteo Renzi. Molti, al contrario, gridano a un inciucio prossimo venturo, anche per ragioni aziendali, ma lo scenario è meno realistico di quanto appaia. E che Parisi abbia detto che se il premier anche perdesse il referendum costituzionale non dovrebbe dimettersi significa ben poco. Se bisogna accarezzare i moderati, bastano già Toti, Salvini and company a voler dare il benservito al capo del governo.

Fino a dimostrazione del contrario, resto convinto che siamo di fronte all'ennesimo gioco delle parti, nel quale Berlusconi tiene il piede addirittura in più di due scarpe. Se, invece, vogliamo partecipare al tormentone estivo - chi dopo di Lui? - allora l'ottimo pezzo di Mario Paternostro declina le molte ragioni per cui Toti può farsi preferire. Il governatore ligure ha anche una dote in più: la fortuna, requisito che Napoleone giudicava non irrilevante per i suoi generali.

Attenzione, però, a sottovalutare Parisi. Il suo percorso professionale testimonia la serietà, puntigliosità e preparazione dell'uomo. Con l'aggiunta di interpretare la politica senza l'ansia di dover arrivare. Parisi è uno che come in punta di piedi è entrato nell'agone, in punta piedi se ne può andare. Senza rimpianti. Ma finché ci sta dentro, la grinta non verrà meno. Ed è grintoso assai più di quanto dicano i suoi toni tendenti al basso. Gli stessi, in fondo, che hanno consentito a Toti di sbancare a sorpresa la Regione Liguria.