cronaca

Il viaggio - 3
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Schiacciato dalle sue servitù territoriali così pesanti, il Ponente ha cercato più volte di riscattarsi. Sopratutto la Valpolcevera, oggi in scacco per il petrolio Iplom, ha cullato piani di salvezza, uscite da un destino pesante, riscatti da quella prigione di tubi, oleodotti, depositi, discariche, aree al limite della “terra dei fuochi”, fabbriche dismesse. E per paradosso, uno degli uomini, un imprenditore che più di ogni altro ha cercato questo riscatto è stato Riccardo Garrone, “il petroliere”, figlio di Edoardo, che negli anni Trenta aveva insediato in Valpolcevera le raffinierie, portando lavoro, ma anche il peso incombente del petrolio nei depositi, negli stabilimenti di raffinazione, con l'epicentro a San Quirico.

Nel 1979 c'era stato lo storico accordo di dismissione delle Raffinerie Erg, tra la famiglia Garrone e il Comune di Genova, con firma di Riccardo Garrone e del sindaco socialista Fulvio Cerofolini. Che ne sarebbe stato della Valpolcevera, senza raffinerie, ma con ancora i suoi consistenti insediamenti industriali e un destino in qualche modo incerto, mentre le aziende Iri si avviavano al loro inesorabile declino?

A metà degli anni Ottanta, proprio Garrone sfoderò il suo progetto di riscatto della valle, lanciando “Viva Genova”, una colossale operazione da 110 miliardi di euro, che riguardava 500 mila metri quadrati e avrebbe portato nella area 2400 posti di lavoro. Era un po' un riscatto per il passato che Garrone forse sentiva pesare nella propria storia famigliare, per avere occupato la Valpolcevera per decenni con i suoi impianti e un po' era la preveggente scommessa di un nuovo destino post industriale.

Fa impressione ricordare che il cuore di quella riconversione era proprio la Fegino del disastro di oggi e il tema era quello della “liberazione” dell'opzione petrolifera con accordi con Snam, Agip, Carmagnani, Superba, le grandi aziende petrolifere, che dalla costa all'entroterra “pesavano” sulla valle. Si trattava di riconvertire tutto in un'area con nuove vocazioni postindustriali, scienza, elettronica, informatica, qualcosa di simile a quello che poi è successo o ci auguriamo che succeda tra IIT, che non a caso sta a Morego e Erzelli. Sempre tutto a Ponente.

Ma era troppo presto e l'urlo di amore di Garrone per la Valpolcevera, che aveva arricchito la sua famiglia ma anche dato lavoro a generazioni di operai e impiegati della valle, si infranse nella diffidenza amministrativa genovese, in un sistema politico che non vedeva un futuro diverso da quello della difesa conservativa dell'esistente.

D'altra parte Garrone ci aveva già provato a occuparsi del Ponente sofferente, quando all'inizio degli anni Ottanta, da presidente degli Industriali genovesi, aveva portato all'Italsider gli emissari americani di Disneyland, che cercavano una sede europea per il mega insediamento. L'avrebbero poi trovata a Parigi.

Allora la proposta di creare la città dei giochi al posto dell'Italsider, nell'immmesa area di Cornigliano, che stava incominciando a entrare in crisi, suscitò perfino ilarità. “Topolino dentro l'altoforno?”, titolavano i giornali dell' epoca, ultrascettici. Eppure anche quello era già un tentativo di riscattare una area il cui destino post industriale era già in discussione. Incominciava una lunghissima agonia. In Parlamento si varavano le leggi siderurgiche per agevolare l'uscita di operai e impiegati da un settore colassato. Ma era troppo presto.

Anche l'impresa pubblica in quegli anni-chiave aveva immaginato soluzioni di uscita dai ricatti delle servitù territoriali. L'amministratore delegato della Finsider, Giovanni Gambardella, ex leader di Ansaldo e Italsider, aveva lanciato un grande piano dal titolo profetico o troppo realista, “Utopia”, immaginando come il Ponente intero poteva uscire da quelle sue soffocanti servitù che il territorio e la popolazione avevano sopportato per decenni, ma che le nuovee coscienze ambientali e politiche non rendevano tollerabili più per molto.

Il referendum aveva appena bocciato il Nucleare e lo spirito che si respirava, a parte quella decisione sul destino dell'Ansaldo, era in favore di un cambio. Il governo di Roma appoggiava in parte quell'idea, che forse aveva nella sua partenza il limite già con il titolo utopico per una effettiva realizzazione.

“Utopia” restò tale, Topolino restò un cartoon nell'altoforno e “Viva Genova” un grido nel silenzio di una de-industrializzazione che poi, un decennio dopo, avrebbe fatto battezzare la Valpolcevera come la nuova Ruhr italiana dai successori di Garrone all'Associazione Industriali.
Il Ponente aveva cercato un ipotetico riscatto e in tempi molto anticipati, quasi di preveggenza. Ma il blocco di potere politico amministrativom era troppo forte, la forza del sindacato ancora granitica.

Forse l'implicita autocritica degli imprenditori pubblici e privati troppo “sopra le righe” per far passare i progetti di riscatto. E il Ponente è rimasto sotto il tacco delle sue servitù, mentre l'industria manifatturiera lentamente moriva, le raffinerie se ne andavano, il territorio restava impastato nelle sue condanne: il dissesto, l'ambiente “corrotto”, i disequilibri idrogeologici, gli oleodotti, i tubi che si rompono..-