politica

Nove i candidati per le elezioni genovesi
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Reduce da un fiume di confronti tra i nove candidati sindaci alle prossime elezioni comunali, mi è venuta una grande nostalgia del vecchio comizio di una volta, quel discorso lungo, da un palco in una piazza, in un cinema, in un teatro, spesso solo per strada, che caratterizzava le campagne elettorali di una volta.


I confronti sono probabilmente necessari e utili ora che i candidati sono tanti e la dura lex della par condicio impone pari spazi, pari opportunità di incontro-scontro. Altrimenti come potremmo ascoltarli tutti, giudicare l'uno rispetto all'altro, pesare le personalità, i toni e, ovviamente, i contenuti della politica per la quale ti chiedono il voto?
Il problema è che i confronti sono diventati tanti, tantissimi, numerosissimi. Nella società “liquida” ogni categoria, ogni associazione vorrebbe avere il candidato di fronte per interrogarlo, pesarlo in un torneo continuo che si ingoia i giorni della campagna elettorale.
Ma quando ci sono tanti candidati e tanti confronti cosa diventa la campagna elettorale? Un unico confronto a puntate, a seconda dei temi scelti dalle categorie, ritmate dal cronometro, due minuti per rispondere alla domanda comune, qualche volta il diritto di replica, qualche volta l'appello finale.
Così i confronti diventano maratone nelle quali lo squillo di interruzione per il candidato che parla appare come una liberazione per l'uditorio, che vorrebbe un contradditorio, negato di fatto dalle regole del tempo. Le domande incombono, le risposte devono avere lo stesso spazio.


Meno male che ci sono i confronti Tv, come quelli di Primocanale, che hanno introdotto il diritto di replica, perchè in questo modo nel linguaggio veloce della televisione si accendono polemiche, anche dure, scontri e appaiono in rilievo le differenze, perfino la necessaria capacità di aggressione dell'uno verso l'altro.


Ma cosa rischia di mancare in questa maratona, nella quale alla fine i candidati appaiono come attori di una bella “compagnia di giro”? Manca quello che io chiamo “il respiro” del candidato, la sua possibilità di esprimersi compiutamente, di articolare non solo il suo programma, ma la sua personalità espositiva, intellettuale, caratteriale. Proprio quello che si poteva misurare nel vecchio comizio, nel quale l'esame al candidato era necessariamente approfondito: un uomo solo sul palco, con la sua emozione umana, ma anche con la sua capacità totalmente dispiegata. Senza il ticchettio del cronometro e il gong finale.
Lo so bene che la politica è cambiata molto, che la velocità della comunicazione è molto diversa da quella di quei discorsi fiume, nei quali magari si partiva dalla propria visione del mondo per arrivare alla rumenta sotto casa. Allora magari si maledivano  certe prolissità...


Ma ora che spesso tutto si risolve nel cinguettio di un twitter siamo sicuri di avere capito bene?
Forse pretendo troppo, forse non mi accontento del fatto che tanti confronti e magari lo show finale nella chiusura della campagna elettorale bastano e avanzano, per spiegarci tutto di Crivello, Bucci, Pirondini, Putti, Cassimatis, Merella, Mori e degli altri candidati “minori”, di fatto un po' esclusi da questo rodeo permanente. Ma a me la nostalgia del comizio di una volta rimane. Sarà una questione di età.