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Il caso Maurizio Lupi sta disvelando una serie di situazioni che bene spiegano per quali e quanti disgraziatissimi motivi questo Paese stia alla canna del gas. Bastano e avanzano, per avere questa plastica rappresentazione, le questioni che riguardano la Liguria, così come stanno emergendo dalle intercettazioni telefoniche.

Una che indigna particolarmente riporta il colloquio in cui l’ex ministro delle Infrastrutture rassicura il sodale Ercole Incalza sul fatto che si opporrà in ogni modo all’eventualità che una parte dei finanziamenti destinati al Terzo valico ferroviario vengano dirottati agli alluvionati del 9-10 ottobre scorsi. Una vergogna? Una vergogna. La ragione, però, non è solo negare i fondi per porre immediatamente rimedio almeno a qualcuna delle cause extra naturali (le più pesanti e odiose) del disastro. Di ragione ce n’è un’altra, non meno grave: quell’ex ministro della Repubblica accetta l’idea che di due problemi che strangolano Genova e la Liguria – l’isolamento infrastrutturale geografico e il profondo dissesto idrogeologico – se ne debba risolvere soltanto uno. E la scelta, naturalmente, cade su quello che sta a cuore a Incalza, cioè al sistema criminoso che gestisce appalti e direzioni lavori, con annesso giro di mazzette. Almeno secondo la Procura di Firenze. Che sul Terzo valico individua una tangente da oltre 600.000 euro camuffata da consulenza.

A leggere, finora, le carte dei Pm, Lupi sembrava peraltro inconsapevole di quanto lo circondasse. La sua incompetenza era tale, ce lo racconta un’altra intercettazione, da fargli ritenere che la Pedemontana fosse non un’autostrada, bensì una linea ferroviaria! Al netto di questa circostanza, che peraltro giustifica di per sé ampiamente le sue dimissioni, e pur in presenza di un profondo stato di ignoranza (nel senso latino del termine), Lupi avrebbe dovuto avere un soprassalto d’orgoglio, in quella telefonata, almeno per provare a fare bene il mestiere di politico: “Caro Incalza, mi batterò perché al Terzo valico non vengano tolti fondi e perché vengano contestualmente assicurati quelli necessari agli alluvionati. Se poi servisse, diciamo così, un “prestito” da una voce di spesa all’altra, beh non mi opporrei. In ogni caso, la Liguria ha, tra gli altri, questi due problemi e il governo deve risolverli entrambi”. Ecco, questo avrebbe dovuto dire l’ex ministro, anziché piegarsi all’irricevibile invito del suo interlocutore.

Non averlo fatto, oggi apre la strada al pericolo che il Terzo valico e il riequilibrio dell’assetto idrogeologico siano messi in competizione. Se si dovesse scegliere, è chiaro che la vita delle persone viene prima di ogni altra cosa. Ma la vera follia sarebbe trovarsi di fronte a un’alternativa del genere, posto che la direttissima ferroviaria Genova-Milano ha una funzione rigeneratrice per l’economia e la mobilità di genovesi e liguri (per converso, pure di milanesi e lombardi), con un impatto solare sulle prospettive di sviluppo. E poi, perché darla vinta a quella cricca che ci divora l’esistenza, facendo lievitare il costo delle grandi opere anche del 40 per cento? Il premier Matteo Renzi, parole pronunciate all’esplodere dello scandalo Expo e perfettamente calzanti oggi, ha ragione da vendere quando osserva che “l’Italia deve dimostrare alla comunità internazionale di saper e poter fare le cose normalmente”.

Arrendersi e rimanere ostaggio delle varie cricche che cospargono di corruzione il Paese sarebbe un fallimento. E lo sarebbe anche se il governo imponesse a Genova e alla Liguria una sciagurata scelta fra il Terzo valico e la cura del dissesto idrogeologico, magari facendo leva sulle ristrettezze finanziarie dello Stato. Di spese inutili da tagliare per recuperare risorse, Cottarelli docet, ce ne sono in quantità industriale. Basta volerlo.

Questo discorso, per la verità, avrebbero dovuto farlo subito i vertici delle istituzioni locali, a cominciare dalla Regione Liguria, che per ragioni elettoralistiche (il governatore Claudio Burlando) sbandierò come un successo lo stanziamento governativo di 350 milioni (su circa 800) per gli interventi urgenti sul territorio, tipo copertura del Bisagno, il cui progetto esecutivo è stato regalato alla città da Impregilo, che fa parte del consorzio Cociv, costruttore del Terzo valico. Quei fondi, però, stanno ancora lì, a mezz’aria.

Un colpo avrebbe dovuto batterlo anche Raffaella Paita, candidata del Pd alle prossime regionali, persino la più titolata a parlare visto che è contemporaneamente assessore ligure alle Infrastrutture e alla Protezione civile. Forse è colta  dall’imbarazzo di aver plaudito a Lupi quando annunciò il finanziamento-presa-in-giro di 15 milioni all’anno per 15 anni per il raddoppio ferroviario del Ponente, altro nodo scorsoio al collo della Liguria? Oppure è frenata dal rapporto fin troppo stretto coltivato durante la campagna per le primarie con il Nuovo centrodestra (una parte, per la verità), il partito di Lupi e di cui Lupi potrebbe divenire adesso il capo con uno scambio di casacca risarcitorio per la sue dimissioni da non indagato? Se si concede ampio beneficio di “ignoranza” all’ex ministro, a maggior ragione Paita “poteva non sapere” quale marciume albergasse intorno alle grandi opere (anche se il cattivo odore qua e là trasudava). Del resto, sui fondi per la Gronda, che improvvisamente Lupi non voleva più accollare per intero ad Autostrade per l’Italia (con rivalsa sui pedaggi a livello nazionale, come da contratto), Paita non esitò a incrociare le lame con l’ex ministro.

Invece è tutto un gran tacere. A parte il Movimento 5 Stelle e Sel, sia i partiti sia il resto della classe dirigente ligure tengono la bocca cucita: dal sindaco di Genova Marco Doria al presidente di Confindustria Genova Giuseppe Zampini, dai leader dei sindacati a quelli delle altre organizzazioni, ai media, sempre in prima linea nel bla-bla. Eppure dovrebbe essere ormai chiaro che rimanere zitti finisce per rendere complici di certe situazioni (e il penalmente rilevante non c’entra niente). A meno che il silenzio, e purtroppo pure questo è avvenuto, non sia voluto, perché risponde alla logica di non disturbare il manovratore. Cioè il sistema di potere politico-economico-finanziario che ha imperato in Liguria nell’ultimo decennio. E al quale molti, troppi, hanno aderito per lucrare dei vantaggi. Come tanti Incalza.