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Da anni oramai il “mood” della città è orientato alla depressione
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I genovesi non hanno ragione di essere di buon umore in questi tempi. Da anni oramai il “mood” della città  è orientato alla depressione. Parliamo di quella sensazione negativa che si ha quando si pensa a Genova, al suo stato generale, alla sua politica, alle prospettive della sua economia, alle ipotesi di un futuro delle nuove generazioni. Ci lamentiamo sempre tutti e non è più solo il classico mugugno atavico, genetico, connesso alla nostra natura un po' diffidente, molto cauta, sempre guidata da un understatment mirato sul negativo. Perchè maniman tu fossi troppo ottimista...

Non sono i nostri geni a dettarci questo atteggiamento che serpeggia nella città, che si manifesta ad ogni incontro pubblico, privato, anche magari personale. Come va? E come vuoi che vada? _ si sospira, incontrandosi, rivedendosi, confrontandosi in ogni situazione che capita.

L'umore dei genovesi è pessimo perchè non si sono segnali che possano invertirla questa sensazione negativa. Non ci sono svolte al piano inclinato dove scivolano inesorabilmente i progetti del futuro, le personalità del presente, gli avvenimenti giorno per giorno

Ci appare una città vecchia, stanca, che sfodera di questi tempi meravigliosi tramonti di primavera, ma sembra dirci: guarda che oltre a questa bellezza, anche un po' struggente, non ti offriamo più niente, non siamo più in grado.

Ed è veramente una città vecchia, forse la più vecchia del mondo, non solo del Paese, una specie di avanguardia da studiare come un esperimento. Stanno organizzando un grande convegno a Roma per settembre, intitolato Genova 2016 - Italia 2050 per approfondire come tutto il nostro paese sarà, appunto, nel 2050, partendo da come siano noi già adesso. Tasso di vecchiaia alle stelle, centinaia, fra un po' un migliaio di ultra centenari, le generazioni del boom demografico e quelle successive del baby boom che compiono 65 anni e, quindi, sempre più anziani, sempre meno bambini in un deserto di natalità da far paura.

Ma non è solo questo tasso e il fatto che se circoli in certi quartieri genovesi, sopratutto in quelli residenziali borghesi, Carignano, Castelletto, Albaro non incontri altro che anziani, carozzelle spinte dal melting pot dei badanti, crocchi di pensionati sulle panchine, nonni che spingono passeggini rarissimi...

Se viaggi nelle periferie, che qui non sono tali, ma angoli di una città policentrica ruotante sulla costa e sulle colline, intorno a un centro di palazzi istituzionali, strade da shopping mezzo spento e intorno a quel centro storico, croce e delizia del nostro tempo, se fai questo viuaggio cozzi contro un degrado mixato all'insicurezza sociale, al timore di lampi di violenza di furti, rapine, bande di latinos con il berrettino a rovescio, al barriccamento in casa di anziani che vivono come assediati.

E' una città con oltre 160 mila donne sole su 570 mila abitanti, compresi gli immigrati. E lo vedi uscire dai portoni delle loro case, questo esercito di donne sole, guardinghe a fare la spesa a conquistarsi un minimo di socialità nei negozi, nei supermarket sempre più anonimi, impersonali in un delirio di Carrefour, SuperD, Supersconto, il carrello, il sacchetto di plastica, lo scontrino e avanti la prossima.

La città non ti fa sperare, perchè queste tendenze alla sensazione di spegnimento demografico non sono controbilanciate da visioni del futuro.  Vorresti illuderti con gli spot dell'IIt a Morego, con le speranze di Erzelli, ma non ce la fai....

Senti la cosidetta classe politica-dirigente sbattersi intorno a progetti altisonanti, come il Blue Print di Renzo Piano, tra il Porto Antico e la fu  Fiera del Mare. Ma se vai alla Fiera ti perdi e nel percorso di quel progetto e non incontri un segno che qualcosa incominci sul serio, oltre le chiacchere di sindaci, assessori, presidenti.

Guardi la collina degli Erzelli, magari dopo aver letto del progetto ovovia e ti prende alla gola un sentimento di impotenza, perchè l' avevi già letto, ma poi sono passati mesi e mesi e non è successo nulla.

La città del bla bla è oramai avvitata da tempo su questi progetti, sui flash di ottimismo perchè il turismo migliora, perchè palazzo Ducale è una macchina da guerra, mostre prese d'assalto, quasi mezzo milione di presenze all'anno,  che sono appunto flash. Un bel lampo e poi tutto come prima.

Come uscire dall'umor nero, da questa sensazione che rimbalza da un angolo all'altro? Vai a san Martino e contempli il buco immondo davanti all'Ospedale senza sapere che ne faranno. Vai all'Acquasola e lo scempio sta lì, dopo venti anni di polemiche, tagli di alberi, cantieri abortiti, la solita giostra, la ghiaia, ti ricordi quando almeno c'erano i cigni e la pista delle bici per i bambini?

Per uscir dall' umor nero e da questa stasi immota ci vorrebbe un'altra classe dirigente politica: non è solo colpa del sindaco Marco Doria, anche lui apparentemente immoto nell'azione, salvo in quella di avere oramai deciso di stare lì o del Pd il partito di maggioranza (ma forse non lo è più), che si è aggrovigliato su se stesso: nel 1985 il suo antenato Pci  aveva a Genova 45 mila iscritti e oggi quelli che hanno la tessera dei Circoli sono poche migliaia.

I partiti sono polverizzati, ma anche gli imprenditori non scherzano, quanto a novità da servire nella città immota. Nelle casseforti delle banche giacciono 87 miliardi di euro in depositi. Chi investe e dove, se tutto sta fermo? Solo Malacalza che si è buttato nella Carige e sta penando da un anno le pene finanziarie nel tempo delle banche alla resa dei conti finale?

Insomma, è difficile uscire da questa sensazione depressiva. Ma i genovesi hanno i geni per farlo, sono stati perfini padroni del mondo nel fatidico XVI secolo, hanno nel loro sangue le capacità per tirarsi fuori. Aspettano qualcuno o qualcosa: una nuova generazione, uno sblocco di sistema, come è accaduto a tante città nel mondo decadute con la fine dell'industrializzazione, in Francia, In Inghilterra, negli Stati Uniti. Certo, allora l'Occidente “tirava”, oggi tocca all'Oriente e noi siamo dalla parte sbagliata.

Sta già incominciando una nuova campagna elettorale, affidata necessariamente a quella classe dirigente politica della politica immota. Ci offrano almeno qualche spunto di speranze, qualche novità, una visione autentica, anche dura, magari, ma sincera. Maniman...