economia

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Il premier Matteo Renzi promette che "la clausola di salvaguardia non scatterà".  Dunque, a sentir lui, niente aumento delle accise sui carburanti per tappare la falla di 728 milioni aperta nei conti pubblici dalla bocciatura della “reverse charge” decisa da Bruxelles perché viola le regole dell’Iva. Secondo Palazzo Chigi, “il provvedimento era atteso e stiamo ragionando su dove prendere i 700 milioni. Settecento milioni su un bilancio di settecento miliardi” aggiunge, come a dire che si tratta di una goccia nel mare.

Sarà pur vero, ma goccia di qui, goccia di là, si fa presto a riempire un catino. Perché c’è la rogna delle pensioni da perequare (basterà la scelta del “bonus” fino a 2000 euro, che comporta una spesa molto inferiore al totale di 18 miliardi?) e c’è un deficit da tenere sotto controllo (in rapporto a un Pil che ancora crescere molto poco) poiché altrimenti si creerebbe una voragine nelle finanze dello Stato, con l’effetto collaterale di un aumento dell’Iva fino al 25%.

In realtà la partita dei conti pubblici era e rimane aperta ed è quando Renzi assicura che i soldi si troveranno che bisogna cominciare ad aver paura. Lui è l’ultimo di una serie di capi di governo italiani che hanno sventolato la bandiera della “spending review”, ma poi le spese non le hanno davvero tagliate e i soldi hanno continuato a pescarli dal solito contenitore: le tasse. O le imposte che dir si voglia. Ci siamo abituati a una dinamica da gioco delle tre carte: nominalmente lo Stato non aumenta più la pressione fiscale, ma nel concreto delega questo impopolare compito agli enti locali. Ne sappiamo ben qualcosa in Liguria, una delle tre regioni italiane con la più alta aliquota di addizionale. E con Comuni che non si tirano indietro: da Roma continuano a produrre tagli ai trasferimenti e le singole municipalità si arrangiano rincarando ogni sorta di imposta. Il risultato è che la pressione fiscale continua a crescere, ma il premier di turno – adesso tocca a Renzi – può presentarsi in pubblico e dire che lui non c’entra niente.

A questo illusionismo ci siamo abituati, tanto che in questo periodo sono migliaia gli italiani che rinunciano ad alcuni sgravi pur di non toccare la denuncia dei redditi precompilata, che se accettata dà diritto a non subire accertamenti dall’Agenzia delle Entrate. Un bel risparmio, per le casse pubbliche, però è pur sempre denaro al quale i contribuenti rinunciano. Ci siamo abituati, ma non lo reggiamo più. Anche la nostra tasca è sempre la stessa e siccome nessun cittadino ha la facoltà di stampare moneta come una banca centrale, non c’è bonus, premio o integrazione che tenga: i consumi non ripartono, perché se a qualcuno a fine mese restano 100 euro tende a metterli sotto il materasso. Di conseguenza la domanda interna ristagna e la crescita langue. Affidata solo a episodi sporadici (aumento della produzione Fiat a Melfi), a una congiuntura internazionale favorevole (prezzo del petrolio giù, cambio euro-dollaro più favorevole, grande liquidità immessa sul mercato dalla Bce) e a esportazioni che hanno ripreso fiato.

L’ultimo caso, questo della “reverse charge”, dimostra anche un’altra cosa: persino le buone intenzioni (in teoria avrebbe dovuto abbattere il tasso di evasione Iva) hanno il seguito di provvedimenti concepiti male. Quando Renzi spiega che in fondo la bocciatura Ue era attesa non si può non chiedergli: ma allora perché l’avete scritto in quel modo il provvedimento? Proprio non si poteva fare la stessa cosa in modo da farsela accettare da Bruxelles? O non si poteva semplicemente negoziarla, spiegando che sarebbe stato il primo tassello di una vera, radicale ed efficace lotta all’evasione fiscale? Tutti i governi la richiamano come base per il risanamento dei conti, la riduzione delle tasse e il miglioramento dei servizi, ma poi finisce sempre allo stesso modo. Le cifre recuperate ai parassiti della fiscalità italiana crescono in maniera irrisoria mentre la pressione sui contribuenti onesti aumenta senza sosta e più velocemente. Se anziché dal piede destro li prendi da quello sinistro, sempre calci nel sedere sono. Il che riconduce al problema di sempre: la credibilità. Alle latitudini italiane non se ne vede ancora traccia. E se dei nostri governanti non possiamo fidarci noi per primi, perché dovrebbero farlo a Bruxelles?