Politica

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Una bella discussione di questi tempi è un lusso, faceva dire Brecht a un contadino nel Cerchio di Gesso del Caucaso. Non siamo a questo, ma il dibattito aperto sulle classi dirigenti economiche dal direttore di Primocanale, è sicuramente un dono. Non mi permetto di entrare nel merito della discussione sulla nomina del Presidente degli Industriali che ha, com’è giusto che sia, un aspetto del tutto peculiare. Ma questa scelta avrà inevitabilmente una ricaduta su tutta la città e la Liguria, per gli effetti che deriveranno a seconda del programma di politica economica che la classe imprenditoriale genovese assumerà per il futuro. Suscita interesse, quindi, non tanto per l’individuazione della leadership, ma per il progetto che accompagnerà questa leadership, in una fase in cui non sono ancora terminati i contraccolpi di una crisi economica molto forte del sistema produttivo e del modello di sviluppo, ligure e nazionale.

In questi anni, a livello mondiale, si è fatta strada una consapevolezza dei limiti di un capitalismo basato su politiche di neoliberismo esasperato, di privatizzazione generalizzata, di distruzione di ogni spazio e di ogni intervento pubblico nell'economia e nella società. In ambito europeo, da sponde politiche ben diverse, riprendono politiche da stato nazionale, che si mostrano insofferenti verso la gabbia costruita dagli accordi di Maastricht. Nel nostro paese e nella nostra regione si sta delineando una nuova imprenditoria, fatta soprattutto di medie e piccole imprese, costrette, dall'impossibilità di praticare una politica di svalutazione monetaria e dai limiti concreti di una contesa solo sul costo del lavoro, a competere sulla qualità dei prodotti e a reclamare un'efficienza di sistema, cui non può essere estranea una certa dialettica sociale. Ad essa si affianca una nuova managerialità, in campo industriale, finanziario e bancario, che riemerge faticosamente dalle rovine di uno spaventoso declino economico e civile e dal dilagare di una corruzione che prima di travolgere un'intera classe politica ha profondamente corroso quella economica.

La Liguria, per il suo tessuto produttivo, risente molto delle politiche nazionali. Il sistema portuale, il sistema trasportistico, il rapporto con i mercati del nord Italia e del nord Europa, l’apparato industriale ligure e genovese, dipendono dalle politiche nazionali e se il Governo non si affretta ad investire nel potenziamento del nostro sistema produttivo nazionale, ne risente anche la Liguria. E c’’è un problema di ripensamento sostanziale sulle forme di lavoro precario, sulla destrutturazione dell’occupazione e dell’accesso al lavoro, elementi che contribuiscono a mantenere debole il nostro sistema produttivo.

Sul Corriere della Sera dei giorni scorsi Sergio Marchionne, A. D. Fiat, fa un’analisi dei vari modelli di capitalismo mondiale che differiscono per aspetti riguardanti l'organizzazione complessiva della società e afferma di privilegiare il modello europeo a quello americano in virtù della spesa pubblica sociale e per la presenza di una diffusa coscienza sindacale. Conclude affermando che lo sviluppo di un sistema imprenditoriale non è solo il portato di tecnologie, risorse finanziarie e flessibilità del lavoro, ma soprattutto di cultura del cambiamento, quindi di qualità. In tutto ciò come non riconoscere un processo riflessivo, un ripensamento verso il dialogo sociale, dopo aver assistito ad una offensiva confindustriale contro l'esistenza di un contratto nazionale di lavoro e a tanti proclami da partito politico nella direzione di una tecnicizzazione della politica, che la spingerebbe sempre più verso lidi a-democratici incontrollabili per qualunque forma di sovranità popolare e persino di democrazia liberale.

Una riflessione a cui certamente oggi non può sfuggire la classe imprenditoriale genovese, nella scelta della propria leadership e del programma di sviluppo che l’accompagnerà.

Giacomo Conti, segretario regionale di Rifondazione Comunista