Leggevo l’altro ieri una bella biografia di Giulio Andreotti scritta alcuni anni fa da Massimo Franco. A un ex onnipotente della prima repubblica ormai fuori dai giochi, malconcio per le inchieste e i processi, ma sempre lucidissimo e ironico, il giornalista chiedeva per chi avesse votato in quegli anni, dopo essere stato uno dei più rappresentativi campioni della Dc.
Andreotti rispose che aveva votato un po’ per tutti, persino per An grazie al suo difensore, la celebre avvocato Buongiorno. E ora per chi vota? Gli chiese Franco. La risposta del Divo Giulio fu lapidaria: “Sono per l’indifferentismo”.
Se non fosse un ossimoro potremmo dire che il rischio più forte che corre Genova alla vigilia delle elezioni comunali è proprio quello di aderire al movimento degli indifferenti. Gli indifferenti non si muovono? No, a Genova gli indifferenti, ahimé, si muovono perpetuando quella politica del No che viene generalmente personalizzata: non un No indistinto, ma un no indirizzato nei confronti di qualcuno, di chi prova a fare, di chi prova a impegnarsi.
Negli anni’90 la città produsse un altro movimento deleterio che allora, al Secolo XIX diretto da Antonio Di Rosa, chiamammo i Piagnini. Erano quelli che si lamentavano di tutto e di tutti, piangevano appunto (chiagnevano alla napoletana) senza proporre nulla, stando fermi e celebrando una città immobile e cadaverica dove solo loro con le rendite secolari e gli inciuci politici sarebbero sopravvissuti.
Ora i sostenitori dell’indifferentismo invece provano a muoversi e trovano spesso fertile terreno in formazioni politiche dedite al No perpetuo.
Oggi sull’edizione nazionale di Repubblica è uscita una bella articolessa di Alessandra Longo su Genova. Offre a noi che di questa città scriviamo da secoli e spesso a sproposito due letture importanti: Genova come città “scappata di mano”, in alcune sue parti strategiche come il centro storico, cioè quelle che devono fare da motore di rilancio anche culturale e sociale e Genova come città del “non governo dei problemi”. Una lettura piuttosto sconfortante, di un luogo dove si muovono formazioni politiche medioevali e uomini di un apparato polveroso.
In un terreno così paludoso l’indifferentismo che segnò l’Andreotti degli ultimi anni di vita, ha trovato un fertile orto.
Così chi prova a lanciare prospettive, per esempio l’interesse (speriamo vero e non solo politicamente sperato) del gruppo Humanitas a costruire un ospedale nel campus di Sestri Ponente (l’ex luogo chiamato malamente Erzelli) diventa una minaccia. Così la trasformazione di corso Italia, il Blue Print ultima versione diventa un rischio speculativo.
Mi auguro che tutto questo vada avanti ma si confronti sempre e in modo trasparente con la città, cioè non venga modulato in stanze segrete. Quando si dovette discutere la ricostruzione del teatro Carlo Felice il Comune organizzò un magnifico confronto aperto a tutti (esperti e popolo) al teatro Margherita. Fu una memorabile e splendida rissa di cultura ad altro livello.
Per combattere l’indifferentismo bisogna agire così, allo scoperto, stimolando il dibattito. Bisogna comunicare quello che si fa e accettare le critiche o i suggerimenti di chi lavora nel settore: urbanisti, imprenditori, sindacati, professionisti, popolo.
Dire subito un No è sciocco e dannoso. E diventa il perfetto simbolo di una Genova che per colpa del non governo è scappata di mano agli amministratori e si appresta a diventare un olezzante cadavere urbano.
politica
Il rischio che vinca la Genova degli indifferenti
Spicchi d'aglio
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