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Castelbarco e la sfida negli anni della bufera
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Dal principe Cesare Castelbarco Albani al principe del diritto Giuseppe Tesauro. Alla presidenza di Banca Carige non si può dire che mancheranno i quarti di nobiltà, passando da quelli per discendenza a quelli acquisiti sul campo. In entrambi i casi, con la benedizione di Bankitalia e, soprattutto, della Banca centrale europea (Bce). Le istituzioni che, di fatto, indicano chi debba sedere sul trono degli istituti bancari.

A marcare operativamente una certa fase storica di realtà come Carige sono gli amministratori delegati. E allora vedremo quanto e in quale modo il nuovo timoniere Guido Bastianini, voluto dal principale azionista Vittorio Malacalza, si differenzierà dal precedessore, Piero Montani.

Il tratto distintivo, lo stile di una banca, viene però incarnato dal presidente. Quale sarà quello di Tesauro ce lo diranno i fatti. Ma è difficile immaginare una grande e profonda discontinuità dal recente passato. Il primo punto di contatto si rivelerà, probabilmente, lo spirito di servizio. Tesauro lo dimostra accettando un ruolo non semplice e che subito verrà messo alla prova da questa storia dell'offerta del gruppo Apollo, interessato a rilevare non solo i crediti deteriorati della banca ligure, ma anche la quota di maggioranza.

Scenario complesso, ma di sicuro meno critico di quello che porta alla chiamata di Castelbarco. In realtà il primo designato alla presidenza di Carige è il professor Piergiorgio Alberti, militante di lungo corso in seno alla banca, con esperienze "formative" quale quella nella nuova Parmalat guidata da Enrico Bondi, nel pieno della tempesta post-Tanzi.

Ma Alberti oppone un gran rifiuto ed è a quel punto, nel giro di ventiquattro ore, che Castelbarco si vede costretto a decidere, di fronte alle insistenze della Fondazione, ancora azionista di gran lunga maggioritario. Al principe è a malapena concesso il tempo di fare qualche consultazione.

Non manca di sentire amici che lo mettono in guardia rispetto alle incombenze ingrate che lo attenderebbero, ma sono il governatore di Bankitalia Ignazio Visco e il presidente della Bce Mario Draghi a recapitargli i messaggi più convincenti: se non salta fuori subito un presidente, Carige finisce commissariata.

Per chi ha orgoglio, dignità e amor di patria - leggasi Liguria, Genova e la loro principale istituzione finanziaria - è quasi una chiamata alle armi. Così Castelbarco, genovese fino al midollo anche se di natali è milanese, risponde "presente". E il 30 settembre del 2013 diventa presidente di Carige.

Il compito improbo è restituire a una delle banche più antiche del mondo - nacque nel 1483 come Monte di Pietà - oltre all'equilibrio dei conti (mansione principale di Montani), anche immagine e credibilità, un patrimonio che la precedente, scellerata gestione di Giovanni Berneschi (con tanto di scandalo finanziario che ancora occupa le aule giudiziarie) ha dissipato.

È proprio questo l'impegno che marca in modo significativo la presidenza di Castelbarco. A Genova, città spesso ingrata e dalla memoria corta, c'è chi ancora ricorda con una punta di veleno che il principe sedeva già nel consiglio dominato da Berneschi. Ma si omette il "dettaglio" che Castelbarco faceva parte del pacchetto di mischia del socio francese Bpce, che già in epoca non sospetta avrebbe voluto avvicendare Berneschi, giudicato Oltralpe poco adatto al ruolo, visto il tratto del suo agire.

Oltre allo spirito di servizio c'è dunque un quid di convinzione personale a muovere Castelbarco nella sua azione di risanamento della Carige.
Ne seguono relazioni intessute a livello nazionale ed europeo, contatti continui con quel mondo della finanza nel quale lui possiede da sempre entrature di primo livello e un'azione incessante nel difendere la differenza di Carige rispetto a tante altre scombinate e scassatissime realtà bancarie. Non ultimo in ordine di importanza, è un presidente non chiuso nella sua torre d'avorio, bensì pronto ad ascoltare il territorio (utile l'esperienza fatta alla guida della finanziaria regionale Filse) e a relazioni umane semplici, come quelle regalati dalle colazioni consumate nei ristoranti del centro, dove Berneschi non si vedeva mai.

Il declino della Fondazione, gli attacchi speculativi sul titolo azionario, le voci di possibili fusioni, le rigide regole imposte dalla Bce e un quadro generale sempre più deteriorato - di sistema ed economico complessivo - hanno certamente complicato il lavoro di Castelbarco e del management di Carige nel suo insieme. Ma se si ha l'onestà intellettuale di paragonare la banca com'era e com'è, allora non si può negare che, comunque, il saldo sia positivo.

Adesso si volta pagina. Castelbarco stesso aveva seri dubbi sull'opportunità di proseguire l'esperienza. Ad alcuni collaboratori aveva confidato: sono l'espressione dell'emergenza e la banca ha bisogno di normalità, non sono certo che potrei rappresentarla, con l'etichetta che fatalmente mi porto addosso.

Malacalza l'ha pensata allo stesso modo, decidendo di rinnovare i ranghi. Magari ha peccato di irruenza e irritualità, con quel comunicato arrivato a confermare avvisaglie.
E chissà, magari con un po' di stizza per quell'offerta di Apollo, che già aveva acquistato le assicurazioni di Carige, e che la banca, nella sua nota ufficiale di chiarimento, definisce "non richiesta". Malacalza, però, è fatto così. Prendere o lasciare, di fronte a un imprenditore che negli Stati Uniti incarnerebbe alla perfezione il mito del "self made man". Il principe Castelbarco va, il principe (del diritto) Tesauro arriva. La presidenza Carige manterrà un alto profilo.