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E in Liguria disoccupazione giù, ma è boom di partite Iva
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Nel terzo trimestre dell'anno l'economia italiana è cresciuta di appena lo 0,2%. Il dato è sotto le attese - che parlavano di un +0,3% - ma soprattutto denota un trend preoccupante: nel primo trimestre il Pil era infatti balzato dello 0,4% e nel secondo dello 0,3 il che dimostra una sostanziale tendenza al rallentamento. Se il quarto trimestre fosse a crescita zero, l'aumento acquisito del Pil risulta dello 0,6% anche se le previsioni parlano per il prossimo 31 dicembre di almeno un +0,9% cioè la cifra fatta segnare nel terzo trimestre su base annua, la migliore degli ultimi quattro anni.

Dopo la fase recessiva e di stagnazione, che il Pil si muova con segno positivo è comunque una buona notizia, però è il confronto con le economie equipollenti a far alzare il livello di attenzione. Francia e Germania, indicate in difficoltà, si muovono nel solco di una crescita annuale rispettivamente dell'1,2 e dell'1,7% (nel periodo agosto-settembre +0,3%) a dimostrazione che in Europa l'Italia continua ad avere un passo da lumaca, ma la forbice di amplia a dismisura se si guardano le cifre tendenziali degli Usa (+2%) e del Regno Unito (+2,3%).

Insomma, il governo ha di fronte un evidente problema di accelerazione e rafforzamento della crescita, di fronte al quale le terapie finora messe in campo si stanno rivelando solo un "brodino" rispetto alle reali necessità. Significativi, in tal senso, anche i dati sull'andamento dell'occupazione in Liguria diffusi da Bankitalia per i primi otto mesi dell'anno: il tasso dei senza lavoro è calato sotto il 10% però a fare da traino è il boom delle partite Iva (+9%), mentre il lavoro dipendente stenta a decollare. E questo sebbene il 54% dei 24.700 nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato siglati nel periodo abbiano beneficiato dell'esonero contributivo previsto dalla Legge di Stabilità 2014.

Aggiungendo i 4.800 contratti che sono mutati da precari a tempo indeterminato, sempre grazie all'agevolazione introdotta grazie al combinato del Jobs Act (che però ha abolito la tutela dell'Articolo 18) si vede con più chiarezza come il premier Matteo Renzi debba inventarsi un vero cambio di passo per portare il Paese fuori dalle secche. Cosa che si vede quando le decisioni producono una reale ripresa del lavoro.

L'allarmante trend del Pil, infatti, testimonia che le riforme finora concepite non riescono a riaccendere davvero il motore dell'economia e mettono anche in discussione il fatto che provvedimenti come il ridisegno del Senato abbiano di per se stessi - il premier dixit- la capacità di incidere anche sul dato economico. In realtà le ultime cifre sulla crescita sembrano imporre l'esigenza di interventi più incisivi rispetto all'abolizione della Tasi, ad esempio, e richiedono una strategia diversa.

Non basta agire cercando risorse "a debito", come finora fa la nuova Legge di Stabilità, ma bisogna liberarle andando a incidere su una seria e profonda revisione della spesa pubblica (oltre che combattere davvero l'evasione fiscale) per rendere strutturale la disponibilità finanziaria. Altrimenti il problema risulterà solo rinviato e il nodo dei conti arriverà inevitabilmente al pettine. Ma per fare ciò occorre anche rovesciare la prospettiva dei provvedimenti, uscendo dalla logica della ricerca del consenso a tutti i costi e nel breve periodo. O Renzi porta fuori subito il Paese dall'endemica campagna elettorale nella quale è imprigionato, o pure lui è destinato al fallimento. Solo che il conto lo pagheremo tutti.